Adempimenti

Per le politiche attive non serve residenza in Italia

di Gianni Bocchieri

La prescrizione del requisito della residenza per poter beneficiare dei servizi per il lavoro contenuto nell’articolo 11, comma 1, lettera c, del Dlgs 150/2015 ha fatto emergere diverse criticità anche operative.

In poco più di un mese, l’Anpal si è espressa sul tema con diverse note e circolari, dopo aver specificato che nel caso di percettori di forme di sostegno al reddito (Naspi) il centro per l’impiego (Cpi) competente può essere quello del domicilio indicato nella stessa domanda di Naspi. Con la nota 9616 del 30 luglio 2018, ha confermato questa stessa interpretazione anche per le persone irreperibili e senza fissa dimora: anche loro potranno sottoscrivere il patto di servizio personalizzato per l'accesso alle misure di politica attiva per il lavoro facendo fede il domicilio, anche per l'applicazione delle sanzioni relative alla condizionalità.

Con due ulteriori circolari Anpal ha fornito un’interpretazione estensiva del concetto di residenza. Più precisamente, attraverso la circolare congiunta con il ministero del Lavoro 10569 del 27 agosto, prima pubblicata con richiesta di darne la più ampia diffusione presso i centri per l’impiego e poi eliminata dal suo sito, l’Anpal ha chiarito che per i cittadini stranieri non Ue regolarmente soggiornanti e titolari di un permesso di soggiorno che consente l’esercizio di un’attività lavorativa o anche in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, il requisito della residenza può essere soddisfatto dalla “dimora abituale”, che ricomprende anche il caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Con la stessa circolare, analoga interpretazione viene fornita per i cittadini stranieri richiedenti e titolari di protezione internazionale, per i quali il requisito della residenza sarebbe soddisfatto dalla presenza di un luogo di dimora abituale che consente l'iscrizione all'anagrafe comunale con il rilascio di un codice fiscale provvisorio. In questo modo, ai richiedenti asilo viene riconosciuta la possibilità di svolgere attività lavorativa e di accedere ad altre misure di politica attiva del lavoro, come i tirocini formativi e le doti lavoro eventualmente previste.

Due giorni più tardi, con la circolare 4, la stessa Agenzia afferma che il requisito della “residenza” riferito ai cittadini comunitari deve essere letto in relazione ai principi di libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea e di non discriminazione tra lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Alla luce di questi principi, l’Anpal conclude che non può essere negata la possibilità di richiedere anche i servizi di ricerca di una nuova occupazione o di inserimento lavorativo, ai cittadini dell’Ue che soggiornano in Italia, pur non avendone la residenza, in quanto l’assenza di questo requisito non può costituire un ostacolo alla loro effettiva garanzia di un concreto e reale supporto nella ricerca di lavoro. In questo modo, i cittadini europei disoccupati possono richiedere il supporto dei Centri per l'impiego, con il correlato diritto di poter restare sul territorio italiano per almeno tre mesi, anche in assenza di lavoro.

In entrambi i casi, a prescindere dalla disciplina di riferimento, l’Anpal sembra equiparare la possibilità di svolgere un’attività lavorativa nel territorio nazionale all’accesso alle misure di accompagnamento al lavoro erogate dai centri per l’impiego e dagli altri operatori accreditati, rendendo così non determinante il requisito della residenza dei lavoratori stranieri, sebbene sia espressamente richiesto dallo stesso decreto di riordino dei servizi al lavoro e delle politiche attive.

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