Controlli e liti

Quel «peso» delle leggi nazionali sulla cooperazione tra le amministrazioni fiscali

di Marco Piazza

Il caso esaminato dalla Corte di giustizia Ue nella causa C-682/15 riguarda la distribuzione di dividendi da una società francese a un fondo comune d’investimento alternativo lussemburghese costituito in forma di società.

La legislazione francese esenta da ritenuta i dividendi distribuiti a fondi comuni europei o di Stati che hanno con la Francia un accordo di assistenza amministrativa alle sole condizioni che i percipienti raccolgano capitale da una pluralità di investitori per investirli secondo una data politica d’investimento e abbiamo caratteristiche analoghe a quelle dei fondi comuni francesi.

Non risulta siano posti vincoli riguardo alle caratteristiche degli investitori.

La richiesta d’informazioni formulata dall’autorità francese a quella lussemburghese comprendeva l’indicazione dei nominativi degli investitori. Il fondo comune lussemburghese ha quindi opposto che questa richiesta non fosse prevedibilmente pertinente per l’applicazione delle leggi nazionali francesi.

Ciò che emerge dalla sentenza è che lo scambio d’informazioni anche con paesi tradizionalmente “riservati” come il Lussemburgo è una realtà, ma anche che spesso genera contenzioso, come è avvenuto nell’interpretazione dell’articolo 28 della convenzione fra Francia e Svizzera in materia di scambio d’informazioni su richiesta (sentenza del Tribunale federale del 24 settembre 2015, n. 2C-1174/2014) e in altri più recenti casi simili.

La Corte Ue, peraltro, nel trattare una serie di importanti questioni procedurali, non entra nel merito (anche perché il quesito non le è stato posto) della pertinenza o meno di una simile richiesta.

Le regole, oltre a tutto sono diverse da Paese a Paese. I dividendi corrisposti da società italiane a fondi comuni esteri, per esempio, non beneficiano di esenzione per norma interna; per i fondi pensione Ue o See, si applica la ritenuta dell’11%.

Lo scambio d’informazioni dovrebbe avere un ruolo anche nell’applicazione della direttiva madri e figlie nei confronti delle società di capitali europee.

La direttiva prevede che gli Stati membri non applicano l’esenzione ai dividendi distribuiti a una costruzione che, essendo stata posta in essere allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o la finalità della direttiva stessa, non è genuina, precisando ulteriormente che una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.

In Italia la materia è regolata dall’articolo 27-bis, comma 5, del Dpr 600/73 che rinvia alla clausola antielusiva generale di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. In questo campo, è possibile che la richiesta di conoscere i soci dell’entità che percepisce il dividendo sia pertinente rispetto alla necessità di verificare se la società stessa abbia il solo scopo di far beneficiare società extracomunitarie dell’esenzione. Ma ove da altre informazioni risultasse che la beneficiaria del dividendo è comunque una struttura “genuina” questa ulteriore verifica non sarebbe necessaria.

Corte di gisutizia, sentenza causa C-682/2015

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