Adempimenti

L’ingrosso di farmaci non paga lo 0,5 all’Enpaf

Le società speziali possono gestire farmacie e distribuzione intermedia

Entro il 30 settembre le società speziali a maggioranza di soci non farmacisti debbono versare il contributo Enpaf dello 0,5% sul fatturato, ma dalla base imponibile vanno esclusi i ricavi dell'ingrosso.

Dal 2018 le società titolari di farmacia versano all'Enpaf un contributo dello 0,5% del fatturato annuo netto Iva se la maggioranza dei soci (calcolata per quote nelle società di capitali, per teste nelle cooperative e società di persone) appartiene a non farmacisti. Si versa entro il 30 settembre dell'anno successivo alla chiusura dell'esercizio.

La legge di Bilancio 2018 e il regolamento attuativo indicano come base imponibile il «fatturato annuo al netto dell'Iva» e in una società speziale, che per legge (articolo 7, comma 2 legge 362/91) ha come oggetto sociale esclusivo la gestione di farmacia, tutti i ricavi sono riconducibili a tale gestione e, come tali, imponibili: o un provento è connesso alla gestione della farmacia, oppure deriva da un'attività (vietata) estranea all'oggetto sociale.

Che accade però se la società speziale svolge anche l'attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali?

Tale possibilità fu prevista dal Codice comunitario dei medicinali (Dlgs 219/2006, modificato dal Dlgs 274/2007), che mirava a rimuovere l'incompatibilità sancita dalla Corte costituzionale (sentenza 275/2003) per evitare una procedura d’infrazione Ue, e introdusse una deroga alla regola generale dell’oggetto sociale esclusivo.

Il Consiglio di Stato (sentenza 5486/2018) ha chiarito che serve una separata autorizzazione regionale e, una volta autorizzata all'ingrosso, la società speziale deve tenere separate le attività di grossista e di farmacia, utilizzando due codici per la tracciabilità dei farmaci.

A differenza di tutti gli altri ricavi (compresi i nuovi servizi) che sono collegati alla «gestione di farmacia», i proventi dell'ingrosso vanno esclusi dalla contribuzione Enpaf perché derivano da una autorizzazione distinta rispetto al diritto di esercizio della farmacia.

Conclusione confortata da ragioni sistematiche. Non ha senso tassare proventi di un'attività su cui, prima della liberalizzazione, non era dovuta contribuzione Enpaf. Si pensi al caso limite di un distributore che fattura 500 milioni di euro e acquista una farmacia con ricavi di un milione: sarebbe insensato pretendere un contributo di 2,5 milioni (calcolato su 501 milioni di fatturato) invece che di 5mila euro (calcolato sul solo fatturato della farmacia acquistata). Il contributo 0,5%, del resto, riduce del 2% circa il “ragionevole margine di guadagno” costituzionalmente tutelato della farmacia (30,35% sui medicinali); nel caso della distribuzione intermedia assorbirebbe invece il 17% del margine (che è del 3%). Disparità che violerebbe sicuramente il canone costituzionale di ragionevolezza.

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