Adempimenti

Accesso al Fis da gennaio, consultazione retroattiva da abbuonare

Opportuna una norma o una interpretazione che risolva il problema

di Enzo De Fusco

Rimane ancora aperto il problema dell’informativa sindacale preventiva per accedere al Fis. E questo perché il messaggio Inps 606/2022, non potendo superare le previsioni di legge, rinvia al datore di lavoro o al sindacato l’onere di risolvere il problema.

La questione rimane sempre la stessa: dal 1° gennaio 2022, avendo eliminato la cassa Covid a vantaggio di un sistema ordinario di ammortizzatori sociali, scattano inesorabilmente le regole normali di consultazione sindacale. Queste regole sono chiare: per sospendere i lavoratori in Fis è necessario dare l’informativa preventiva con relativo ed eventuale esame congiunto, che deve essere contenuto nei successivi 25 giorni (dieci giorni per le aziende inferiori a 50 dipendenti). La platea interessata da questa situazione è molto eterogenea. Si va dalla grande distribuzione organizzata (che in precedenza aveva solo la Cigs), alle piccole e micro-imprese, anche con un solo dipendente, che per la prima volta accedono a questo strumento.

Ebbene, il messaggio Inps 606, diffuso dopo aver sentito il ministero del Lavoro, afferma che il datore di lavoro non deve dare prova della comunicazione preventiva, nel caso in cui le organizzazioni sindacali attestino che la procedura «sia stata correttamente espletata». La dichiarazione è pur sempre una prova, dal momento che il datore la deve allegare alla domanda.

La questione vera, comunque, è che la quasi totalità delle imprese non ha fatto l’informativa preventiva, anche a causa del fatto che la riforma degli ammortizzatori non accompagna questa prima fase con un regime transitorio adeguato. Infatti, per le sospensioni attivate dal 1° gennaio 2022, le aziende neo iscritte avrebbero dovuto attivare l’informativa sindacale nel mese di dicembre 2021, quando però la norma non era ancora vigente.

Quindi, delle due l’una: o il sindacato dichiara il falso assumendosene la responsabilità, oppure non lo dichiara e l’azienda non potrà accedere all’ammortizzatore sociale.

L’unico modo certo per risolvere il problema è l’approvazione di una norma che sani ex post questo buco normativo della riforma. In alternativa, si potrebbe recuperare il principio interpretativo espresso dall’Inps con la circolare 72/2021 in cui è stato detto che, al fine di garantire continuità di reddito ai lavoratori, per le domande di cassa integrazione «che di fatto prorogano lo stato di crisi emergenziale dell’azienda», non è necessaria la definizione di un nuovo accordo, ferma restando l’informazione sindacale che però «non determina effetti sulla procedibilità delle autorizzazioni». Sebbene questa interpretazione si riferiva alla cassa Covid, va anche detto che, al di là della modifica dal 1° gennaio 2022 del nomen iuris, lo strumento di cassa che oggi utilizzano le aziende è saldamente ancorato a una esigenza derivante dall’emergenza sanitaria.

Infine, il legislatore dovrebbe riflettere se davvero ritiene indispensabile che anche le piccole imprese (almeno quelle fino a 15 dipendenti) debbano sottostare a questo obbligo preventivo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©