Controlli e liti

Rischio lettere di compliance sulle attività finanziarie estere

di Marco Piazza e Roberto Torre

Probabilmente anche quest'anno molti contribuenti che detengono attività finanziarie all'estero riceveranno dall'agenzia delle Entrate le «comunicazioni per la promozione dell'adempimento spontaneo» perché risultano aver omesso di indicarle nella dichiarazione dei redditi (quadro RW e altri). Lo scorso, anno numerose lettere di questo tipo sono state inviate anche a contribuenti che, avendo affidato i propri investimenti finanziari all'estero in amministrazione o gestione ad intermediari finanziari italiani, non avevano ulteriori obblighi dichiarativi. Quest'anno, però, pare che l'amministrazione centrale abbia di molto affinato i criteri selettivi per evitare troppe comunicazioni fuori bersaglio.

Il meccanismo d'innesco delle comunicazioni è costituito dallo scambio automatico d'informazioni nelle sue varie forme (Facta con gli Stati Uniti, articolo 8 della direttiva 2011/16/UE con i Paesi europei o che hanno stipulato apposite convenzioni con l'Unione europea e Common Reporting Standard-Crs con i Paesi che vi aderiscono). Attraverso lo scambio d'informazioni, infatti, le autorità fiscali italiane ricevono annualmente l'elenco degli italiani che detengono attività finanziarie nei Paesi partner e, evidentemente, lo utilizzano come indicatore di anomalia. Da quest'anno, il rischio di “falsi positivi” è molto alto perché, per la prima volta, i dati scambiati riguardano anche Svizzera, Principato di Monaco e Austria.

Oggetto della comunicazione sono i conti di deposito custodia o gestione aperti presso istituzioni finanziarie residenti nell'altro Stato, il saldo o valore dei conti e l'importo totale lordo degli interessi, dei dividendi e degli altri redditi generati in relazione alle attività detenute nel conto pagati ed accreditati sul conto (o in relazione al conto) nel corso dell'anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione, relativi appunto a soggetti residenti in Italia.

Il problema è che le autorità estere comunicano anche i rapporti che, pur amministrati da una fiduciaria italiana o gestiti da una banca o società di gestione del risparmio italiana in veste di sostituti d'imposta, sono intestati direttamente al cliente residente in Italia. Infatti, essendo il conto corrente ed il dossier estero intestati al contribuente italiano, l'intermediario estero è obbligato in linea di principio ad assolvere gli obblighi di comunicazione imposti dalla direttiva e dal Crs. Ciò in quanto la normativa relativa al Crs non prevede alcuna esimente per queste fattispecie.

Allo stato attuale si sa che l'amministrazione finanziaria è consapevole della criticità; certamente sono allo studio efficaci interventi correttivi.

A questo proposito, è molto importante tener presente che il flusso informativo fornito dagli intermediari finanziari italiani all'Archivio dei rapporti finanziari sui rapporti intrattenuti con la clientela (articolo 7, sesto comma del Dpr 605/1973 e articolo 11, comma 2 del Dl 201/2011) comprende anche le relazioni che pur essendo intrattenute con intermediari esteri sono amministrate o gestite da istituzioni finanziarie italiane. Basterebbe quindi che l'Agenzia fosse in grado di confrontare i dati provenienti dallo scambio automatico con quelli presenti nell'Archivio per selezionare le sole situazioni irregolari ed evitare l'avvio di indagini infruttuose.

Perché ciò fosse possibile occorrerebbe prevedere nelle comunicazioni inviate all'Archivio un flag con cui evidenziare che il rapporto oggetto della comunicazione è detenuto, per il tramite dell'intermediario italiano, all'estero. Meglio sarebbe se i tracciati per la comunicazione all'Archivio (il “tracciato unico”) con quelli per lo scambio automatico in modo che ci sia sostanziale corrispondenza tra i dati segnalati dall'intermediario italiano e quelli provenienti dall'estero.

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