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Bonus ricerca e sviluppo, dal Fisco penalizzazione al made in Italy

La risoluzione restrittiva delle Entrate di fatto finisce per negare l’incentivo ai comparti moda, pelletteria, gioielleria e occhialeria cancellando di botto le prese di posizione del Mise

di Giuseppe De Mita

L’attività di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante agli effetti del credito d’imposta, tra novità per l’impresa e novità rispetto al resto del mondo (evidente parossismo iperbolico), non è stabilita dall’agenzia delle Entrate; ma dal legislatore.

Quest’ultimo ha l’obbligo costituzionale di sottrarre l’economia nazionale dalle incertezze interpretative cui danno causa gli stessi uffici ministeriali. Pensiamo al settore del tessile e della moda in relazione alla risoluzione 41/E del 26 luglio scorso dell’agenzia delle Entrate.

Il made in Italy è un bene da tutelare che ha rilevanza costituzionale. Quando una materia fondamentale per il made in Italy e per la corretta rappresentazione concorrenziale dei bilanci societari a livello europeo è segnata da tecnicicmo e assenza di disciplina, oltre che da arbitrarie deviazioni governative, il legislatore deve intervenire, pena la violazione dei principi di legalità e capacità contributiva.

Né l’agenzia delle Entrate, senza la dovuta competenza tecnica, può calare dall’alto disconoscimenti estemporanei di progetti certificati e ritualmente posti a fondamento dell’esposizione di crediti d’imposta. Quanto al manuale Frascati non trovo apprezzabili motivi giuridici per salutare con favore la traduzione privata in lingua italiana, la quale rimane – normativamente – un fatto irrilevante. Neppure essa può dar seguito all’integrazione, quand’anche dal 2022, delle lacune normative che segnano la materia. Rimane una traduzione ufficiosa di una fonte non normativa. Il manuale Frascati riveste, al più, l’attitudine di fonte di interpretazione, certamente superata sul piano europeo.

Dopo il consolidamento della distinzione dei crediti d’imposta inesistenti dai crediti esistenti ma non spettanti (Cassazione civile 34444 e 34445 del 2021, Cassazione penale 7613, 7614 e 7615 del 2022), la giurisprudenza di merito rigetta le tesi semplificatorie ed eliminatorie dell’Agenzia, connotate da autoreferenzialità, carenza di istruttoria, carenza di sostegno tecnico.

La genesi della risoluzione 41/E del 26 luglio scorso merita una puntuale ambientazione.

Sembra necessario ribadire, al ministero dello Sviluppo economico (Mise) stesso prima che al ministero dell’Economia (Mef), che il ruolo svolto dal Mise è particolarmente incisivo nella predisposizione delle disposizioni applicative necessarie, delle modalità di verifica e controllo dell’effettività delle spese sostenute e delle cause di decadenza e revoca del beneficio.

Non è rimesso alla libera discrezionalità, a-tecnica necessariamente, dell’agenzia delle Entrate il disconoscimento di alcunché.

Correttamente le sentenze di merito richiamano la necessità di acquisire il parere del Mise, in senso ampio e sistematico, serio e forte ancoraggio normativo al ruolo infungibile del Mise.

Proprio su tale infungibilità non possono esistere equivoci. Il comparto interessato dalla restrittiva risoluzione dell’agenzia delle Entrate è, infatti, lo stesso che ha avuto accesso al credito d’imposta sulla scorta delle risposte fornite dal Mise sin dal 2009.

Il Mise, fino a settembre 2021, pubblicava sul suo sito, tra le domande di approfondimento su ricerca e sviluppo, un’articolata risposta al quesito sulla riconducibilità al beneficio del credito d’imposta delle attività di ricerca e sviluppo afferenti alle fasi a) «ricerca e ideazione estetica» e b) «realizzazione dei prototipi» del settore tessile e moda, in continuità con la circolare Mise n. 46586 del 16 aprile 2009, allegata alla circolare dell’agenzia delle Entrate 5/E del 2016.

In tale risposta del 2017 si confermavano le indicazioni fornite dal Mise nella circolare 46586 del 16 aprile 2009, in occasione della precedente disciplina agevolativa introdotta per il triennio 2007-2009 (articolo 1, commi 280-284, della legge 296/06), ribadendo che tali indicazioni erano da considerarsi valide anche agli effetti dell’odierna disciplina agevolativa.

La circolare 5/E del 2016 riteneva «dunque che tra le attività di ricerca e sviluppo ammissibili al nuovo credito d’imposta possano rientrare anche quelle poste in essere dalle imprese operanti nel settore del tessile e della moda collegate alla ideazione e realizzazione dei nuovi campionari, evidentemente non destinati alla vendita. Ciò nel presupposto che in tali comparti produttivi il mantenimento del livello di competitività richiede all’impresa anche continui investimenti per l’introduzione di prodotti nuovi o notevolmente migliorati per il mercato».

Ancora, nella stessa risposta, il ministero dello Sviluppo economico precisava che «nei settori in questione possono considerarsi rilevanti, quali attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo, l’insieme dei lavori organizzati dall’impresa ai fini dell’elaborazione e della creazione di nuove collezioni di prodotti. Più in particolare, è nelle fasi della ricerca e ideazione estetica e nella conseguente realizzazione dei prototipi dei nuovi prodotti che può astrattamente individuarsi «quel segmento di attività diretta alla realizzazione del prodotto nuovo o migliorato, al quale collegare l’agevolazione che premia lo sforzo innovativo dell’imprenditore». Tale processo di creazione di prodotti nuovi o migliorati potrà in concreto apprezzarsi, a seconda dei casi e in conformità alle prassi commerciali del settore, in rapporto ai materiali utilizzati, alla combinazione dei tessuti, ai disegni e alle forme, ai colori o ad altri elementi caratterizzanti le nuove collezioni rispetto alle serie precedenti. Deve al contrario ritenersi che le attività finalizzate a semplici adattamenti di una gamma di prodotti esistenti attraverso, ad esempio, l’aggiunta di un singolo prodotto o la modifica, ad esempio, unicamente dei colori proposti o di un elemento di dettaglio, non possano costituire attività ammissibili al credito d’imposta in quanto costituenti in via di principio modifiche ordinarie o di routine. Naturalmente, sarà cura dell’impresa predisporre, ai fini dei successivi controlli, la documentazione necessaria e gli elementi rilevanti ai fini della dimostrazione dell’ammissibilità degli investimenti sostenuti».

Ad avviso del ministero dello Sviluppo economico (versione 2009-2021), «resta inteso che, anche per il settore moda come per tutti gli altri settori produttivi, sono da considerarsi ammissibili le attività di ricerca e sviluppo anche nel caso in cui esse non siano collegate alla ideazione e realizzazione dei nuovi campionari. Si fa riferimento in particolare alle attività di ricerca e sviluppo precedenti l’ideazione estetica, quali ad esempio la ricerca finalizzata all’innovazione dei materiali o delle tecniche di lavorazione».

Tale risposta del Mise, risalente a 29 settembre 2017, è stata all’origine della nota di aggiornamento di Confindustria sui criteri di individuazione delle attività ammissibili al beneficio nell’ambito del settore «tessile e moda» e più in generale nei settori riconducibili al cosiddetto «made in Italy».

Correttamente Confindustria richiamava sia la risposta del 2017, sia la circolare Mise n. 46586 del 2009 sia, infine, la circolare dell’agenzia delle Entrate 5/E del 2016.

La risposta del Mise del settembre 2017 rimuoveva, perciò, ogni incertezza sulla corretta interpretazione da dare, con riferimento allo specifico settore del tessile e moda e a diversi settori (ceramica, gioielli, occhiali, calzature, eccetera), al comma 5 dell’articolo 3 del Dl 145/2013, fornendo istruzioni sulla documentazione da conservare in caso di controllo delle dell’agenzia delle Entrate.

La risoluzione 41/E pubblicata il 26 luglio 2022 nega, sulle stesse fattispecie, l’ammissibilità del credito d’imposta, nel comparto moda, pelletteria, gioielleria e occhialeria, ritenendo di poter cancellare l’indirizzo invalso dal 2009 al 2022.

Non vi è chi non veda come le soluzioni tecniche e la ricerca dei materiali, in stretta complementarietà con lo sforzo ideativo estetico sono l’essenza di una ricerca e innovazione indubitabilmente ammissibili per la norma agevolativa.

In chiave di diritto tributario costituzionale, sulla base del principio all’articolo 97 della Costituzione, la risoluzione 41/E traduce in risoluzione assunti apodittici e generici che non valgono a revocare in dubbio i chiari assetti già delineati dal 2009 al 2022 dal Mise, i quali non possono cessare di esistere semplicemente perché vengono rimossi dal sito del Mise.

L’analisi del Mise non è personale. Il suo intervento è istituzionale.