Imposte

Cessione partecipazione e poi fusione: è abuso

Assetto scelto inefficiente se il fine è il trasferimento dell’immobile

di Alessandro Germani

Le Entrate bocciano una riorganizzazione composta da una cessione di partecipazione seguita da una fusione transfrontaliera considerandola abusiva rispetto all’alternativa della cessione dell’immobile, che è tassata, seguita dalla liquidazione. È questa in sintesi la risposta n. 892 del 31 dicembre scorso.

La struttura societaria del Gruppo in Italia prevede la società Alfa, che gestisce un immobile, e la stabile organizzazione della consociata francese Sigma, che opera nel business dei rottami metallici. La branch svolge il business nell’immobile di Alfa, da cui lo conduce in locazione. Storicamente Alfa operava nel medesimo business, ma senza risultati. Così in una logica di turnaround fu deciso di cedere il ramo d’azienda alla branch di Sigma, confidando nelle capacità del management francese, ad eccezione dell’immobile, per timori di passività ambientali legate allo stesso e di riduzione dei costi. Oggi che il risanamento è completato, avrebbe senso ridurre le entità in una unica. L’operazione prospettata si sostanzierebbe nella cessione di Alfa da Beta a Sigma e nella successiva fusione transfrontaliera di Alfa in Sigma, con l’immobile che confluirebbe così nella branch di Sigma. La cessione delle partecipazioni è imponibile solo in Germania (e non in Italia) mentre la fusione transfrontaliera è neutrale. L’operazione alternativa invece consiste nel cedere l’immobile da Alfa a Sigma, con imponibilità ai fini delle dirette della plusvalenza e applicazione delle ipocatastali al 4%. Poi Alfa verrebbe liquidata.

Per le Entrate l’operazione è abusiva. Quanto, infatti, al conseguimento di un vantaggio fiscale indebito, l’Agenzia ritiene che se il fine è il trasferimento dell’immobile, l’assetto societario prescelto sarebbe inefficiente, volto solo ad evitare la plusvalenza tassabile ex articolo 86 del Tuir. Circa l’assenza di sostanza economica dell’operazione, la struttura prescelta risulterebbe sovradimensionata rispetto all’obiettivo che è quello di un mero trasferimento dell’immobile. Infine, la mancanza di valide ragioni extrafiscali sarebbe suffragata dall’eccessiva durata dell’assetto societario che adesso si vuole interrompere. Le stesse considerazioni sono traslate nel campo delle indirette e comporterebbero, nel caso in cui l’operazione fosse assoggettata a Iva per opzione, il registro in misura fissa e le ipocatastali al 4%.

La pronuncia invero desta molte perplessità. Perché sembra prescindere dal comma 4 dell’articolo 10-bis della legge 212/2000 che sancisce la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. Peraltro, nella stessa relazione illustrativa della disciplina che ha modificato l’abuso del diritto (Dlgs 128/2015) viene detto esplicitamente che non configura una condotta abusiva la scelta di estinguere una società per fusione anziché con la liquidazione, in quanto le due operazioni sono sullo stesso piano anche se comportano conseguenze fiscali differenti.

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