Il CommentoImposte

Crediti d’imposta ricerca e sviluppo, sanatoria senza premialità

Anziché l’autodenuncia dei contribuenti forse sarebbe più efficace una riorganizzazione dell'istituto

di Maurizio Leo

Si poteva fare di più, forse meglio e in maniera sicuramente più semplice. Per i crediti d’imposta, è da tempo segnalata l’ormai non più differibile esigenza di un intervento normativo finalizzato a delineare con esattezza il regime sanzionatorio dell’indebita compensazione e, soprattutto, a fare chiarezza sulla distinzione (poco e mal utilizzata nella prassi amministrativa e nella giurisprudenza) fra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti. L’attuale articolo 13, commi 4 e 5, del Dlgs 471/1997 appare, infatti, una norma troppo debole nell’individuare e distinguere le due fattispecie, con tutte le conseguenze (soprattutto in termini di sanzioni, amministrative e penali) che ciò comporta.

Ebbene, con specifico riferimento al solo credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, il decreto fiscale collegato alla manovra (n. 146 del 2021) all’articolo 5 (commi da 7 a 12) ha introdotto una procedura di riversamento spontaneo nei casi in cui l’utilizzo di detti crediti sia avvenuto, nel periodo 2015-2019, in maniera «indebita». Ne discende lo sgravio integrale di sanzioni e interessi, oltre alla non punibilità per il delitto di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000.

Le fattispecie sostanziali oggetto del riversamento, cui fa riferimento la disposizione, sono essenzialmente due. Da un lato, i crediti per i quali le imprese abbiano effettivamente sostenuto gli investimenti ma che in tutto o in parte non siano qualificabili come attività di ricerca e sviluppo ammissibili; dall’altro, i crediti per i quali siano stati commessi errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili.

Restano escluse le fattispecie indicate nel comma 8 (frodi, simulazioni, utilizzo di documenti falsi) oltre a quelle oggetto di atti di recupero (o similari) divenuti definitivi alla data di entrata in vigore del decreto.

Insomma, una sanatoria ibrida, con taluni punti di contatto con le passate edizioni della voluntary disclosure e altri con la restituzione della Tremonti ambiente del decreto fiscale 2019. Se è pienamente condivisibile l’intento di fare salve le violazioni commesse in una materia tanto scivolosa e tecnicamente complessa da essere stata oggetto di continui interventi normativi e di prassi tesi a restringerne (ex post) le maglie, si impongono talune riflessioni sia di merito che di metodo al fine di verificarne gli effettivi benefici per i contribuenti.

Tralasciando gli aspetti formali della sanatoria (che, peraltro, saranno oggetto di separato provvedimento dell’Agenzia), da un punto di vista puramente metodologico è lecito chiedersi se non sarebbe stato preferibile, piuttosto che lasciare in mano ai contribuenti (con una sorta di auto-denuncia) l’onere di distinguere ciò che possa essere sanato o meno, un intervento normativo finalizzato ad una complessiva riorganizzazione dell’istituto (tanto dal lato sostanziale quanto dal lato sanzionatorio) chiarendo espressamente, prima di tutto, che ciò che è stato realizzato non può mai essere inesistente.

Peraltro, nel merito, se sembra assolutamente corretto precludere la sanatoria a chi (magari anche a causa di comportamenti spregiudicati) ha agito con frode, non sembra condivisibile imporre il riversamento spontaneo del credito a quanti, illo tempore, in assoluta buona fede, abbiano fatto affidamento sulla normativa vigente, poi interpretata restrittivamente dall'Amministrazione finanziaria. Per tali soggetti, la non applicazione delle sanzioni sarebbe, invero, già ampiamente prevista nelle norme generali dell'ordinamento tributario (articolo 10 dello Statuto e articolo 8 del Dlgs n. 546/1992). Non si vede, dunque, in tal caso quale sia l'effettivo beneficio della sanatoria. Forse sarebbe stato preferibile, al contrario, escludere, in tali ipotesi, anche la restituzione, oltre, ça va sans dire, all'automatica disapplicazione delle sanzioni.

Inoltre, seguendo il tenore letterale delle disposizioni, la condotta fraudolenta può essere sempre accertata dagli Uffici delle Entrate a “sanatoria” avviata, con conseguente decadenza dalla stessa. Si tratta, in altri termini, di una sanatoria (un unicum) priva del carattere di definitività che espone, in ogni caso, il contribuente auto-denunciatosi al rischio, nemmeno troppo remoto, di future sanzioni e procedimenti penali.

Appare, invero, eccessiva la discrezionalità interpretativa attribuita all'agenzia delle Entrate, con l'auspicio che non si riconduca qualsiasi irregolarità nell'alveo dell'inesistenza.

Ecco, anche al fine di una maggiore appetibilità del riversamento de quo, si potrebbe, magari già in sededi conversione del decreto fiscale, prevedere in tutti i casi di verifica ex post, l'applicazione di sanzioni ridotte. Peraltro, sarebbe opportuno, nel silenzio del legislatore circa la non punibilità per reati diversi da quello di cui all'articolo 10-quater del Dlgs 74/2000, che i soggetti interessati alla sanatoria pongano in essere, dopo il riversamento del credito, tutte le regolarizzazioni resesi necessarie dal ricalcolo del credito d'imposta, al fine di non vanificare la sanatoria e non incorrere in possibili contestazioni penali ai sensi dei diversi articoli 2, 3, 4 e 5 del Dlgs 74/2000. Si otterrebbe, in questo modo, un effetto analogo a quanto previsto, ad esempio, dall'articolo 13 del medesimo Dlgs per il caso del ravvedimento mediante estinzione del debito prima dell'inizio di accessi, ispezioni e verifiche e a quanto già ammesso in sede di voluntary disclosure (istituto che condivide con quello in commento quantomeno la collaborazione spontanea del contribuente).

Meriterebbe, poi, un migliore coordinamento normativo la vicenda dei contenziosi in essere con la sanatoria in esame e andrebbe, altresì, corretta la difficilmente spiegabile impossibilità di riversare il credito in modalità rateale prevista nella sola ipotesi in cui sia già stato notificato al contribuente un atto impositivo.

Ecco, in definitiva, l'auspicio è che già la legge di conversione possa essere in grado di rendere più appetibile, più chiaro e più giusto un intervento normativo che, seppure richiesto da più parti, presta il fianco a molteplici censure. E mai come in questo caso, per la buona riuscita della sanatoria è necessaria, specie se la norma resterà così come è, la “collaborazione” degli uffici che, una volta apprezzate le finalità premiali e deflattive della sanatoria, non restringano al massimo l'ambito dei crediti riversabili. È ormai improcrastinabile, razionalizzare, nel prossimo futuro, l'intera disciplina dei crediti d'imposta anche con riguardo agli aspetti sanzionatori, come già da tempo invocato dagli operatori del settore. Con buona pace degli interventi parziali e di quelli stagionali!