Imposte

Retribuzioni convenzionali escluse per il lavoro in smart working

La risposta a interpello 345: niente regime forfettario per il lavoratore in Francia rientrato causa Covid. Inderogabile il requisito della territorialità esteradella prestazione lavorativa

di Marco Strafile

Con la risposta a interpello 345/2021 l’agenzia delle Entrate affronta un’altra casistica di estrema attualità, riguardante l’applicabilità del regime delle retribuzioni convenzionali di cui all’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir, a un lavoratore – fiscalmente residente in Italia - distaccato in Francia nel maggio 2019 e rientrato in Italia nel febbraio 2020 a seguito della pandemia, da dove ha continuato a lavorare in modalità di smart working, sempre a beneficio della società francese.

Si ricorda che il citato comma 8-bis prevede che il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto interministeriale.

Il dubbio (riguardante moltissime aziende che gestiscono personale in mobilità internazionale), attiene alla possibilità di applicare le retribuzioni convenzionali nel caso in cui il dipendente espatriato sia rientrato in Italia per motivi legati all’emergenza sanitaria, da dove ha proseguito a prestare la propria attività in favore della società estera di assegnazione; in sostanza ci si chiede se il requisito della territorialità estera delle prestazione - in un contesto lavorativo venutosi a modificare a causa del Covid-19 - sia un requisito imprescindibile ai fini dell’applicazione del richiamato regime forfettario.

La società istante riterrebbe percorribile la suddetta possibilità, richiamando:

• le raccomandazioni Ocse agli Stati in materia di interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (documento del 3 aprile 2020) con cui l’Organismo internazionale, alla luce delle distorsioni che il Covid-19 avrebbe potuto comportare, ha invitato i Paesi aderenti a «non considerare le situazioni temporanee determinatesi, facendo esclusivo riferimento ai comportamenti che si sarebbero tenuti in uno scenario di normalità, senza dare rilevanza alle deviazioni dettate dall’emergenza e dai vincoli alla mobilità imposti dai Governi»;

• l’accordo interpretativo (del 23 luglio 2020) siglato tra Italia e Francia che recependo le suddette raccomandazioni Ocse ha fornito una lettura “flessibile” delle norme della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata i due Stati in materia di reddito di lavoro dipendente, volta ad «agevolare la posizione dei molti lavoratori che si spostano tra Italia e Francia e che si son trovati e si troveranno impossibilitati o sconsigliati dal farlo per via dell’emergenza sanitaria».

L’Agenzia, tuttavia, non condivide la tesi prospettata dall’istante in quanto «le predette raccomandazioni dell’Ocse nonché le disposizioni contenute nel suddetto Accordo amichevole tra l’Italia e la Francia, riguardando unicamente i canoni ermeneutici del diritto internazionale pattizio (nel caso di specie della vigente Convenzione tra l’Italia e la Francia per evitare le doppie imposizioni), non hanno alcuna rilevanza ai fini della normativa interna e, quindi, nel caso di specie, non possono essere utilizzate per interpretare le disposizioni contenute nell’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir».

Da tale premessa discende che il requisito della territorialità estera della prestazione lavorativa contenuta nel citato comma 8-bis non ammette deroghe e che, pertanto, il regime delle retribuzioni convenzionali non è applicabile in caso di lavoro svolto dall’Italia in modalità remota.

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