Controlli e liti

Rivalutazione dei terreni, l’opzione non è rettificabile: non rileva il «cambio» sull’edificabilità dell’area

Per la Cgt Toscana la scelta non si può ritirare: non rileva il nuovo orientamento della Cassazione sugli edifici da demolire

L’opzione per la rideterminazione del valore di quote e terreni è una manifestazione di volontà irretrattabile, pertanto non può essere rettificata. Lo ha chiarito la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana con la sentenza n. 267 dello scorso 24 marzo.

La normativa e la vicenda

La disciplina in questione è quella prevista originariamente dalla legge 448/2001 e poi oggetto di numerose proroghe, che consente di rideterminare il costo storico di partecipazioni e terreni in misura pari a quello che risulta da una perizia di stima, previo pagamento di una imposta sostitutiva. Il vantaggio legato all’agevolazione consiste nel far emergere, in sede di cessione, una plusvalenza minore o di azzerarla.

Oggetto della rivalutazione sono le partecipazioni e i terreni, sia agricoli che edificabili. Le interpretazioni di prassi dell’amministrazione finanziaria correnti nell’anno di riferimento del caso oggetto di sentenza (2010), consentivano di assoggettare a rivalutazione anche il valore dei fabbricati esistenti e regolarmente accatastati, destinati ad essere parzialmente/integralmente demoliti. Per questa ragione, gli appellanti, nel novembre del 2010, effettuavano i versamenti dell’imposta sostitutiva per dei fabbricati.

Successivamente a tale scelta, la sentenza della Corte di Cassazione n. 4150/2014, superando l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, stabiliva che la cessione di immobili da demolire non può essere considerata cessione di terreno edificabile.

Le ragioni dei contribuenti

Per questa ragione, gli appellanti richiedevano il rimborso dell’imposta sostitutiva versata in relazione ai soli fabbricati. Formatosi il silenzio-rifiuto a causa della mancata risposta dell’ufficio, i contribuenti presentavano ricorso che veniva respinto dai giudici di primo grado. Questi ultimi, infatti, avevano ritenuto irretrattabile l’opzione volontariamente esercitata per usufruire del regime di imposta sostitutiva.

I contribuenti presentavano pertanto appello contro la sentenza ritenendo:

- da un lato l’erronea, illogica ed insufficiente motivazione della sentenza che non teneva conto dei chiarimenti forniti con la citata sentenza di Cassazione n. 4150/2014;

- dall’altro che la corretta applicazione della disposizione sull’imposta sostitutiva avrebbe condotto alla inequivocabile conclusione che nessuna obbligazione tributaria poteva esistere in riferimento alla rideterminazione dei valori dei fabbricati in quanto sarebbe inesistente il presupposto oggettivo della stessa poiché solo i terreni edificabili e con destinazione agricola potevano essere rivalutati.

La sentenza

L’appello, tuttavia, veniva respinto. I giudici di secondo grado, richiamando anche la sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 2321/2020, ribadivano che l’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 7 della legge 448/2001 è un’imposta «volontaria» che trova «causa necessaria e sufficiente in se stessa, ossia nella stessa scelta liberamente operata dal contribuente di accedere all’opzione offertagli dal legislatore, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non affrancata».

Nel merito, i giudici affermavano poi che i contribuenti non avevano acquisito alcun diritto al rimborso dell’imposta sostitutiva volontariamente versata in quanto la loro richiesta si fondava su una questione di interpretazione di legge riguardo alla quale non esisteva, al momento di esercizio dell’opzione, neppure un univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità. A parere dei giudici, quindi, la circostanza che successivamente l’orientamento si sia modificato non ha alcuna incidenza sulla rideterminazione che resta valida.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©