Imposte

Rimborsi chilometrici ai professionisti: lo studio deduce se l’inerenza è documentata

La Cassazione affronta il caso dei veicoli di proprietà degli associati. Decisiva la prova dei viaggi nell’interesse dell’associazione

di Giorgio Gavelli

Con due recenti ordinanze della Cassazione, torna di attualità la disciplina fiscale dei rimborsi chilometrici riconosciuti dagli studi associati per l’uso dell’auto personale per trasferte professionali. Sono le ordinanze 776/2022 e 2831/2022 (della stessa sezione), che raggiungono conclusioni difformi. L’esito di un giudizio di legittimità dipende non solo dal caso trattato, ma anche dalle motivazioni più o meno condivisibili dei giudici di appello. Tuttavia, si ha la sensazione che la fattispecie abbia contenuti che mal si adattano alle norme del Tuir, mettendo in difficoltà i giudici tributari.

Le associazioni professionali possono essere intestatarie della carta di circolazione di autoveicoli (Cassazione 8853/2007 e circolare ministero Trasporti 51431/2010) ma la situazione, come ogni “comproprietà”, è assai scomoda. Per far sì che questi beni possano partecipare, quali componenti negativi, alla formazione del reddito dell’associazione, nella prassi si adottano, alternativamente, le seguenti soluzioni operative:

1) il bene viene cointestato allo studio, detraendo l’Iva nella misura del 40% (articolo 19-bis1, comma 1, lettera c, Dpr 633/72) e deducendo, in misura pari al 20%, i costi di acquisto e di esercizio in base all’articolo 164, comma 1, lettera b), Tuir, fermo restando che è consentita al massimo la deducibilità per tanti veicoli quanti sono gli associati;

2) l’associato affida in comodato il suo autoveicolo all’associazione. Con questo contratto, l’associazione lo utilizza ed è, pertanto, legittimata a dedurre, con i limiti ricordati, le spese di gestione e di manutenzione. È consigliabile registrare il contratto di comodato per attribuire data certa all’operazione;

3) l’associato addebita i costi. In particolare, l’associato (spesso privo di partita Iva) addebita, in base alle tariffe Aci, le spese di utilizzo dell’auto in conseguenza dei soli viaggi (documentati) a favore dell’associazione professionale, la quale deduce integralmente (eventualmente nei limiti di cilindrata di cui all’articolo 95, comma 3, Tuir) gli importi che costituiscono, per l’associato, meri rimborsi patrimoniali.

La contestazione

È proprio quest’ultima la modalità contestata da alcuni uffici, che ritengono indeducibili gli importi, perché la descritta modalità sarebbe rivolta dall’articolo 95, comma 3, Tuir, a dipendenti e amministratori non professionali, ma sarebbe inapplicabile al caso di specie, non essendo prevista dall’articolo 54 Tuir.

Pertanto, l’unica modalità di deduzione possibile sarebbe quella di cui all’articolo 164 del Tuir (intestazione all’associazione professionale dei veicoli). Con conseguenze paradossali, nel senso che i rimborsi chilometrici vengono a volte considerati costi integralmente non deducibili, a volte come deducibili al 20%, in altri casi “riqualificati” come prelievi degli associati.

Entrambe le ordinanze nascono da un ricorso delle Entrate. Nella 776/2022, la Corte riconosce al giudice di secondo grado di aver precisato che tali costi discendono dall’uso che delle auto i professionisti fanno per recarsi dai clienti, con conseguente rigetto del ricorso e condanna delle Entrate alle spese di causa. La seconda pronuncia, la 2831/2022, invece, termina con l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia, poiché la Ctr avrebbe erroneamente applicato in materia di deduzione di costi per autovetture i principi relativi ai lavoratori dipendenti, anziché, correttamente, quelli applicabili alla fattispecie (relativa ad associazione di professionisti) regolata dall’articolo 164 Tuir.

La decisione d’appello viene cassata con rinvio in quanto occorrerebbe valutare se l’autoveicolo fosse o meno indispensabile ed esclusivamente utilizzato per lo svolgimento dell’attività d’impresa, costituendo ciò oggetto di prova da parte del contribuente.

Le esigenze da documentare

Al di là del riferimento all’impresa (presente in entrambe le pronunce ed evidentemente errato), i riflettori vanno puntati sull’aspetto probatorio. I rimborsi devono riguardare esclusivamente trasferte operate nell’interesse (documentabile) dello studio associato, perché solo in tal modo si giustifica l’inerenza integrale che rende del tutto superflua l’applicazione dell’articolo 164 Tuir.

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