Controlli e liti

Imposta regionale sulla benzina bocciata dalla Cassazione

L’incompatibilità con le norme dell’Unione europea vale anche per il passato: se è stata versata deve essere rimborsata

di Giorgio Emanuele Degani

La Cassazione, con le sentenze 6687/2023 e 6858/2023, ha statuito che l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (Irba) è incompatibile con l’ordinamento unionale per assenza di una finalità specifica attribuita alla stessa e, se versata, deve essere rimborsata; tale incompatibilità sussiste anche per il passato anche se il legislatore ha abrogato l’Irba dal 1° gennaio 2021 facendo “salvi” gli effetti obbligatori pregressi.

L’Irba e la normativa eurounitaria

L’Irba è una imposta indiretta non armonizzata propria delle Regioni e diretta ad assicurare il finanziamento degli enti locali.

Tale imposta indiretta soggiace alle disposizioni eurounitarie: ciò in quanto, colpendo i consumi, è in grado di alterare il corretto funzionamento del mercato unico creando delle distorsioni della libera concorrenza. Per tale ragione, trova applicazione la direttiva 2008/118/CE, che ha previsto la possibilità per gli Stati membri di applicare ai prodotti già sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’Iva in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta.

In altri termini, gli Stati membri possono introdurre una ulteriore imposte indiretta sui prodotti già sottoposti ad accisa solo in presenza di una “finalità specifica”, configurando detta ulteriore imposta come una sorta di “imposta di scopo”.

L’assenza di finalità specifica

La Corte di Cassazione, richiamando anche la giurisprudenza unionale sul tema (causa C-255/20), ha rilevato che il gettito dell’Irba istituita dalla Regione Campania fosse destinato a uno scopo di mero bilancio. Ed infatti, le presunte finalità specifiche non sono mai state concretamente perseguita dall’ente locale, stante l’assenza di un capitolo di bilancio ad essa dedicata e la dimostrazione dell’effettività di scopo perseguita con tale gettito. Da ciò consegue l’incompatibilità di tale imposta con il diritto eurounitario, disapplicando la stessa e riconoscendo la possibilità per il contribuente di richiedere a rimborso le somme indebitamente versate.

Difatti, in caso di contrasto tra la norma interna e quella unionale, il giudice nazionale deve adottare tutte le misure di carattere nazionale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto eurounitario, anche disapplicando le disposizioni contrastanti della legislazione nazionale.

Sul punto, la decisione dei giudici della Corte di Cassazione hanno correttamente richiamato la procedura di infrazione n. 2017/2114/Taxud, con cui la Commissione Ue ha messo in mora l’Italia proprio per via dell’assenza di una finalità specifica attribuita all’Irba. I giudici hanno poi statuito che, nonostante la legge 30 dicembre 2020, n. 178 abbia abrogato l’Irba dall’1 gennaio 2021 facendo “salvi” gli effetti obbligatori passati, tale clausola legale di limitazione non può esplicare i propri effetti. Ed infatti, l’incompatibilità dell’imposta con il diritto unionale esclude che la clausola di salvezza possa sopravvivere alla espunzione del tributo dall’ordinamento nazionale.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha correttamente disapplicato la norma interna incompatibile con il superiore diritto eurounitario, anche nella parte in cui la norma nazionale avrebbe voluto mantenere una efficacia residuale impositiva per il passato. L’interpretazione conforme del diritto interno rispetto a quello unionale comporta che il secondo prevalga sul primo in caso di contrasto, con la conseguenza che anche i rapporti passati dovranno essere messi nuovamente in discussione.

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