Imposte

Enti di diritto pubblico, conta il tipo di finanziamento

Per la qualifica importante individuare la natura delle risorse erogate. Non rilevano i corrispettivi ma i contributi per il funzionamento generale

di Gabriele Sepio e Veronica Varone

Il tema «Enti del Terzo settore (Ets) e contributi pubblici» diventa una questione di particolare interesse quando scatta l’applicazione del Codice dei contratti. Questo per gli Ets che ricevono contributi dalla Pa e che, a determinate condizioni, potrebbero rientrare nella definizione di “organismo di diritto pubblico” (articolo 3, lettera d) Dlgs 50/2016), con conseguente effetto sui procedimenti da seguire per acquisti e affidamenti secondo l’iter previsto dal Codice.

L’ente ricade nella suddetta definizione solamente in presenza di tre requisiti che dovranno essere cumulativamente presenti e valutati. Il primo di carattere “personalistico” richiede che l’ente sia dotato di personalità giuridica, pubblica o privata. Un criterio questo che dovrebbe essere integrato da parte degli Ets sia nel caso in cui abbiano acquisito la personalità giuridica ai sensi del Dpr 361/2000 che dell’articolo 22 Dlgs 117/2017 (Cts). Il secondo requisito, invece è teleologico, e richiede che l’ente sia istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.

Una nozione, questa, che sulla scia degli interventi della Corte di giustizia (sentenza C-567/15) e della giurisprudenza di merito (Consiglio di Stato, 7031/2018) viene interpretata nel senso che l’ente conduca un’attività contrassegnata prevalentemente da due elementi:

1. assenza di criteri imprenditoriali nella gestione dell’attività;

2. svolgimento di attività in regime non concorrenziale (da desumere nel caso in cui di prestazione dei propri servizi a tariffe/condizioni inferiori rispetto a quelli presenti sul mercato). Requisito questo che, a rigore, dovrebbe essere integrato di diritto dall’Ets in quanto lo stesso persegue, in linea con quanto previsto dal Cts, finalità di interesse civico, solidaristico e di utilità sociale attraverso lo svolgimento di attività di interesse generale.

L’eccezione, in questo senso, potrebbe essere rappresentata da tutti quegli Ets si qualificano quali commerciali esercitando attività di interesse generale in forma di impresa.

Il terzo requisito è quello dell’ “influenza dominante”, esercitata da una Pa o di un ente pubblico che, a sua volta, può manifestarsi al ricorrere di uno o più dei seguenti parametri (non necessariamente cumulativi):

1. attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico;

2. gestione soggetta al controllo dei soggetti appena menzionati, inteso – nel caso di società – come maggioranza di azioni/quote societarie;

3. organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituito da membri dei quali più della metà è designato dallo stato, enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico. La possibilità che gli Ets siano soggetti ad influenza dominante è di più difficile dimostrazione, soprattutto nelle forme del controllo su gestione o designazione maggioritaria degli organi. Ciò in quanto il ricorrere di tali requisiti potrebbe integrare la nozione di ente sottoposto a direzione o coordinamento di Pa che, come tale, comporterebbe l’esclusione dal perimetro del terzo settore.

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