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Doppie imposizioni, limiti alle perdite della stabile organizzazione con la rinuncia a tassare dell’altro Stato

In presenza di una convenzione il Paese della società madre rinuncia alla possibilità di tassare le branch e, quindi, a beneficiare delle loro perdite

di Giorgio Emanuele Degani

Uno Stato membro può limitare l’utilizzo di perdite definitive di una stabile organizzazione residente in altro Stato, laddove il Paese di residenza abbia rinunciato al suo potere di tassare i risultati di tale stabile organizzazione in forza di una convenzione contro le doppie imposizioni. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia Ue con la sentenza resa nella causa C-538/20 del 22 settembre.

Infatti, secondo la Corte, quando uno Stato sottoscrive una convenzione per evitare o attenuare la doppia imposizione in cui il diritto di tassare le stabili organizzazioni è conferito al Paese in cui queste sono stabilite, lo Stato della società madre rinuncia alla possibilità di tassare le stabili e, quindi, di poter beneficiare delle loro perdite; si determina così volontariamente un differente trattamento impositivo tra le stabili organizzazioni residenti e non.

Il caso

Una società residente in Germania aveva costituito una stabile organizzazione in Inghilterra, per poi chiuderla dopo un periodo in cui non erano stati realizzati utili, ma solo perdite. Tale situazione precludeva il riporto delle perdite ai fini fiscali in nello Stato della stabile organizzazione.

Al contempo, però, l’amministrazione finanziaria tedesca negava la possibilità di dedurre le perdite della stabile non residente: la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Germania e Regno Unito esclude che le perdite della stabile non residente possano assumere rilevanza nello Stato di residenza.

Il diniego veniva impugnato innanzi al giudice tedesco, il quale rinviava la causa alla Corte di giustizia ravvisando una limitazione della libertà di stabilimento, poiché, a differenza delle perdite subite da una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, le società residenti possono tenere conto delle perdite subite da una stabile organizzazione residente per la determinazione del loro reddito imponibile.

L’assenza di restrizioni

La Corte di giustizia ritiene, tuttavia, che non vi sia alcuna restrizione alla libertà di stabilimento, posto che queste due situazioni non sono oggettivamente comparabili.

Secondo i giudici, è vero che un tale regime fiscale introduce una disparità di trattamento tra una società residente con una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro e una società residente con una stabile organizzazione residente, dissuadendo la società residente dall’esercizio delle sue attività tramite una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro.

Tuttavia, tale disparità può essere giustificata dalla sussistenza di situazioni oggettivamente non comparabili o dalla presenza di un motivo imperativo di interesse generale e proporzionato.

Sul punto, è lo Stato membro di residenza che ha rinunciato, in virtù della sottoscrizione di una convenzione contro la doppia imposizione, all’esercizio del suo potere di tassare i risultati della stabile organizzazione non residente di tale società, situata in un altro Stato membro; ciò crea una differenza sostanziale rispetto alla società residente che dispone di una stabile organizzazione in altro Stato membro.

Le perdite finali

La pronuncia in commento si fonda su un’attuale valorizzazione della dottrina delle «perdite finali» elaborate per la prima volta nella nota sentenza del 13 dicembre 2005 nella causa C-446/03), dando continuità ai precedenti elaborati sul punto in tema di non comparabilità di fattispecie (Cgue, 15 maggio 2008, causa C-414/06).

In conclusione, è condivisibile che la tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri possa rendere necessaria l’applicazione alle attività economiche delle società stabilite in uno di detti Stati delle sole norme tributarie di quest’ultimo, tanto per i profitti quanto per le perdite.