Contabilità

Terzo settore, attività defiscalizzate solo se svolte in modalità non concorrenziali

di Gabriele Sepio

Armonizzare e semplificare un sistema legislativo che si è stratificato nel corso del tempo creando un quadro normativo più omogeneo. Questo il principale obiettivo dei decreti di riforma del terzo settore approvati, in via preliminare, lo scorso 12 maggio dal Consiglio dei ministri e ora in attesa dei pareri delle commissioni parlamentari.
Sono molteplici i temi di rilievo oggetto dei nuovi decreti, su tutti la necessità di fare chiarezza sulle attività, principali e secondarie, di circa 300 mila enti del terzo settore (Ets) e regolare in modo trasparente i margini entro cui potranno essere svolte attività di natura commerciale. Se queste ultime non sono prevalenti (tenendo conto delle attività istituzionali e sussidiarie finalizzate all'autofinanziamento) gli Ets potranno accedere ad una serie di benefici fiscali, che assegnano maggiori vantaggi rispetto al passato, relativi alle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e di bollo, cui si aggiungono maggiori benefici (detrazioni e deduzioni) per chi effettua erogazioni liberali, anche grazie all'introduzione del «social bonus».

Si avrà maggiore uniformità anche riguardo alle regole che, attualmente, disciplinano le attività commerciali svolte per finanziare gli scopi istituzionali. È in questo ambito che si sono registrate le maggiori problematiche in passato e su cui la legge delega (106/2016) richiedeva maggiore attenzione (articolo 9). L'introduzione di un criterio unico per individuare le attività «secondarie e strumentali» permetterà, infatti, di superare la difficile coesistenza tra le norme del titolo II del Tuir e una pluralità di regimi derogatori e definizioni settoriali: per le Onlus, ad esempio, si parla di «connesse» che diventano «marginali» nelle organizzazioni di volontariato.

Le attività istituzionali saranno defiscalizzate solo se svolte secondo modalità non concorrenziali rispetto ad altre di natura commerciale nello stesso ambito territoriale (ad esempio in caso di corrispettivi che coprono solo una frazione del costo). Le raccolte fondi, anche mediante vendita di beni e i contributi pubblici, continueranno a non costituire reddito per gli enti del terzo settore, insieme alle attività svolte nei confronti degli associati, diverse da quelle che prevedono corrispettivi specifici. Le attività commerciali, se eseguite in modo non prevalente, godranno di un regime di tassazione opzionale basato su coefficienti di redditività applicabili a scaglioni, con premi maggiori per chi ha i ricavi più bassi.
Il regime fiscale delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale verrà armonizzato con l'introduzione di un regime forfetario speciale decisamente vantaggioso, cui si aggiunge l'esenzione per i redditi fondiari e una semplificazione per gli adempimenti Iva e imposte dirette. L'Amministrazione finanziaria non potrà svolgere controlli sulla prevalenza quantitativa delle attività commerciali ai fini della spettanza delle agevolazioni fiscali, nei limiti in cui gli Ets rientrano nella soglia di ricavi per accedere al regime forfetario. Una novità importante, quest'ultima, che semplificherà la vita di molti operatori.

Per gli Ets che svolgono attività commerciale in via prevalente si aprirà la possibilità di qualificarsi come impresa sociale che, per la prima volta, godrà di un regime fiscale specifico, grazie alla detassazione degli utili reinvestiti nelle attività di interesse generale. Il quadro della riforma passerà ora all'esame parlamentare e alla conferenza Stato-Regioni, per arrivare alla definitiva approvazione da parte del Consiglio dei Ministri il prossimo 3 luglio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©