Imposte

Iva dei servizi di welfare: detraibilità a rischio

di Diego Paciello

Via libera alle piattaforme digitali per l’assistenza sanitaria nell’ambito del welfare aziendale, ma l’Iva (forse) è indetraibile. Questo, in estrema sintesi, il principio emerso dalla risposta – ancora inedita, protocollo 956-3420/2021 – a interpello delle Dre Lombardia con cui sono stati forniti utili chiarimenti in merito al trattamento fiscale della messa a disposizione, in un piano di welfare aziendale, di piattaforme digitali o app a pagamento che offrono un servizio di ricerca di prestazioni mediche secondo le preferenze di tempo e di luogo di ciascun dipendente.

Dal punto di vista del reddito di lavoro dipendente, è stata correttamente riconosciuta – in considerazione della finalità di assistenza sanitaria del servizio – la sua riconducibilità all’articolo 51, comma 2, lettera f), del Tuir e, dunque, l’integrale esclusione dalla concorrenza al reddito imponibile del dipendente.

Dal punto di vista Iva, invece, è stata esclusa la detraibilità, per il datore di lavoro, dell’imposta sui costi sostenuti per il servizio in base una duplice argomentazione fondata sugli indirizzi giurisprudenziali della Corte di giustizia della Ue.

La prima, facente perno sull’asserita assenza di un «nesso diretto e immediato» tra l’acquisto del servizio e una specifica operazione, imponibile ai fini Iva, a valle, dal momento che la messa a disposizione gratuita del servizio in questione costituirebbe un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del Decreto Iva.

La seconda, dirimente in ragione della mancanza del suddetto nesso diretto, fondata sul fatto che non parrebbe ammissibile ritenere che i costi sostenuti dalla società «confluiscano tra le spese generali e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo finale delle operazioni a valle (cessioni di beni o prestazioni di servizi)» rese nello svolgimento dell’attività economica esercitata dal datore.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, infatti, per spese generali si dovrebbero intendere quelle caratterizzate da «un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo».

Se la prima argomentazione è pienamente condivisibile, la seconda, invece, potrebbe non trovare applicazione analogica in tutte le situazioni. Nella risposta a interpello 338 del 2020, l’Agenzia ha riconosciuto, infatti, la possibile sussistenza delle condizioni per la detrazione ai fini Iva anche dei costi per i servizi welfare che possano considerarsi «spese “accessorie” alle esigenza dell’impresa». Perché, dunque, escludere a priori che tra le spese “accessorie” possano rientrare anche quelle sostenute per servizi di conciliazione, quali assistenza ai figli o ai familiari anziani di dipendenti chiamati a lavorare in un ciclo continuo di produzione tramite turnazione? Oppure, come poter non includere anche le spese relative ai servizi di welfare in caso di conversione di un premio di risultato che, per definizione, remunera proprio lo svolgimento della prestazione lavorativa e il raggiungimento di risultati aziendali migliorativi?

Questi sono solo alcuni dei quesiti ai quali sarà utile ottenere, quanto prima, una precisa risposta, a beneficio sia dei fornitori di servizi welfare che delle imprese.

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