Imposte

Tamponi esenti in farmacia senza contabilità Iva separata

Dal 1° gennaio si applica il pro-rata di detrazione a monte. Resta la separazione contabile delle attività solo in caso di spazi esterni alla farmacia per erogare i servizi con personale dedicato

Dal 1° gennaio ai tamponi in farmacia si applica l’esenzione Iva ordinaria, con l’applicazione del pro-rata di detrazione a monte. L’opzione per la separazione contabile delle attività non è praticabile, se non in casi molto limitati.

Il 31 dicembre 2022 è infatti cessata l’esenzione Covid-19 con detrazione a monte. Quando il fatturato dei servizi sanitari esenti supera lo 0,5% della cifra d’affari, l’articolo 19, comma 5 del Decreto Iva prevede l’indetraibilità di una corrispondente frazione (pro-rata) dell’Iva sugli acquisti, che diventa un costo con natura di spesa generale (si vedano la circolare n. 9/E/2021 e Cassazione 20435/2021).

Ci si chiede se, per evitare il pro-rata, si possa optare per la separazione contabile dell’attività esente, contabilizzando costi e ricavi dei servizi sanitari separatamente rispetto alla ordinaria gestione della farmacia, ai sensi dell’articolo 36, comma 3 del Decreto Iva.

In passato l’Agenzia esigeva la separazione per codici Ateco; la circolare 19/E/2018 ha poi offerto un’interpretazione evolutiva, basata sui principi Ue, per cui si può optare per la separazione contabile anche nel medesimo codice Ateco. La condizione essenziale, tuttavia, resta la presenza strutturale di acquisti di beni e servizi specificamente riferibili alle diverse tipologie di operazioni attive (rispettivamente, imponibili ed esenti) e, per i beni ammortizzabili e i servizi promiscui, la possibilità di determinare - con criteri oggettivi - l’effettiva quota di utilizzo nelle diverse attività. Condizione difficilmente ravvisabile nel caso dei servizi svolti in farmacia.

Anzitutto, i servizi sanitari non sono «autonoma attività», ma rientrano nell’oggetto esclusivo dell’attività delle farmacie (articolo 7, legge 362/91): attività riservata per legge, che incorpora una concessione sanitaria ed è svolta sulla base di un medesimo titolo abilitativo, il diritto di esercizio (articolo 12, legge 475/68). I servizi svolti in farmacia in base al Dlgs 153/2009 non sono infatti un’attività ancillare o distinta, ma rientrano a pieno titolo nell’oggetto tipico della farmacia; anzi, rappresentano un riconoscimento e una valorizzazione della farmacia come presidio sanitario.

Difficile, poi, immaginare la «separazione strutturale»: nella quasi totalità dei casi l’erogazione avviene nei locali della farmacia; i kit e materiali utilizzati per tamponi e vaccini sono dispositivi medici abitualmente commercializzati; il personale addetto è quello della farmacia; persino l’infrastruttura informatica impiegata è la medesima (gestionale interno e sistema Fse). Manca un «criterio oggettivo» per distinguere l’effettiva quota di utilizzo dei beni e servizi promiscui.

L’unica ipotesi in cui sussiste la separazione strutturale è quello delle farmacie che, come consente la sentenza n. 2913/2022 del Consiglio di Stato, istituiscono appositi spazi, esterni alla farmacia, per erogare i servizi con personale dedicato. Ma deve trattarsi di locali autorizzati ad hoc, ove abbia luogo solo l’erogazione di servizi sanitari esenti. Fuori da quest’ultima ipotesi, la separazione è decisamente problematica e, in ogni caso, comporta quasi sempre costi e oneri burocratici aggiuntivi, con modesti benefici.

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