Imposte

Diritto d’autore, l’equo compenso resta fuori dall’Iva

di Gian Marco Committeri

I canoni pagati dai soggetti che producono o commercializzano dispositivi e apparecchi idonei alla riproduzione privata per uso personale di fonogrammi e videogrammi (la cosiddetta «copia privata») sono fuori dal campo di applicazione dell’Iva. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di giustizia Ue nella causa C-37/16 .

La riproduzione per uso privato (non commerciale) avviene, infatti, senza il consenso degli autori o dei titolari del diritto e senza riconoscimento di alcun corrispettivo, motivo per cui viene imposto il pagamento di un «equo compenso» a carico dei soggetti che producono o commercializzano i supporti che rendono possibile la «copia privata» (inclusi gli smartphone). Il pagamento avviene a favore delle società di gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi (in Italia, la Siae) che provvedono poi alla retrocessione agli aventi diritto.

La «copia privata» rappresenta, quindi, una eccezione al diritto esclusivo di riproduzione spettante ad autori, artisti e produttori. La conseguente perdita di vantaggi economici (chi registra un film dalla TV o una canzone dalla radio ragionevolmente non acquisterà la medesima opera sul mercato) viene indennizzata attraverso il pagamento di un «equo compenso» da parte di chi trae vantaggi dalla vendita degli apparecchi e dei supporti. In Italia la normativa è contenuta nella legge 93/1992, successivamente modificata ad opera del Dlgs 68/2003 (di attuazione della direttiva 2001/29/Ce). Tornando alla sentenza merita evidenziare come la questione (posta dal giudice del rinvio polacco) mirasse a chiarire se i titolari dei diritti di riproduzione (autori, artisti interpreti o esecutori, produttori di fonogrammi, produttori cinematografici, organismi di diffusione radiotelevisiva) effettuino una prestazione di servizi, ai sensi della normativa Iva, a vantaggio dei produttori e degli importatori di supporti vergini e di apparecchi di registrazione e riproduzione.

Ricordando che occorre preliminarmente verificare se la prestazione sia stata resa a titolo oneroso, la Corte Ue ha richiamato sua precedente giurisprudenza con cui venne chiarito che per sancire tale circostanza occorre «un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto» (servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un rapporto giuridico). Tale requisito non viene ritenuto sussistente nel caso di specie: l’obbligo di versare canoni, infatti, grava su produttori e importatori in forza della legge nazionale che ne determina anche l’importo. Inoltre, anche superando tale aspetto pregiudiziale, secondo la Corte Ue non si può ritenere che il pagamento dei canoni derivi dalla fornitura di un servizio di cui essi siano il diretto controvalore.

In conclusione, quindi, i giudici hanno deciso che i titolari di diritti di riproduzione non effettuano una prestazione di servizi rilevante ai fini Iva. Nella pratica è immaginabile che la Siae (deputata all’incasso delle somme per conto degli aventi diritto) si adeguerà all’arresto dei giudici comunitari, restando comunque aperto il tema del trattamento (eventualmente difforme) applicato per il passato.

Corte di giustizia Ue, causa C-37/16), sentenza 18 gennaio 2017

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