Imposte

Corsa contro il tempo per le opzioni di cessione ancora non completate

Governo chiamato a decidere su un intervento per decreto sulle opzioni relative a spese 2022. L’ipotesi è di aprire alle struttorie solo avviate ma pesano i tempi necessari ad adeguare le procedure

di Giuseppe Latour e Giovanni Parente

Poco più di tre settimane per salvare le cessioni legate alle spese del 2022 e le rate residue relative al 2020 e 2021. Se ormai appare esclusa una proroga del termine del 31 marzo per comunicare le opzioni, a causa dei vincoli legati ai dati da mettere a disposizione di Eurostat, Governo e Parlamento sono a caccia di una soluzione che salvi tutti quei soggetti che non hanno ancora trovato un acquirente.

Anche ieri, mentre continua il pressing della maggioranza, sono continuate le interlocuzioni per cercare una soluzione che, giocoforza, non potrà entrare nella conversione del decreto 11/2023, a causa di una evidente incompatibilità del calendario. Se ne parlerà oggi nel corso del vertice tra il relatore del Dl sulle cessioni, Andrea de Bertoldi e i rappresentanti dell’esecutivo, soprattutto il viceministro all’Economia, Maurizio Leo. La decisione finale, infatti, spetterà al Governo. La variabile principale, alla base di ogni scelta, sarà quella dei tempi.

L’unica strada compatibile con una scadenza così serrata appare quella di un altro decreto legge. Al suo interno potrebbe confluire una norma che consenta di trasmettere le opzioni alle Entrate «anche prima della conclusione dell’accordo di cessione, purché risulti avviata l’istruttoria per la cessione del credito da parte del cessionario». Con questo schema basterebbe avere attivato le pratiche per la cessione, senza avere formalizzato la vendita, per poter effettuare la comunicazione.

Il decreto da solo, però, non sarebbe sufficiente. Per rendere operativa la misura servirà anche un intervento dell’agenzia delle Entrate. Attualmente il modello per le comunicazioni dedica uno spazio apposito ai cessionari. Bisognerebbe modificarlo, prevedendo la possibilità di inviare l’opzione senza che sia ancora stato concluso un accordo. Oltre a modificare il modello, poi, bisognerà anche aggiornare il software che fa funzionare la piattaforma dell’Agenzia. Tutti passaggi che richiederanno qualche giorno di lavorazione.

Il pericolo, allora, è che rispetto alla scadenza attuale del 31 marzo chi vorrà mettere al riparo le proprie spese avrà pochissimo tempo per farlo. Probabilmente, pochi giorni, in una sorta di click day che si sta profilando per la fine del mese. Per chi non centrerà il termine, invece, c’è fino al 30 novembre la strada della remissione in bonis (con sanzione da 250 euro), ricordata anche dal direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini nel corso della sua audizione alla Camera la scorsa settimana.

Anche se i confini della remissione andranno chiariti, per non escludere proprio i soggetti che non hanno formalizzato un accordo entro fine marzo. Al momento, infatti, la circolare 33/E/2022 delle Entrate prevede che «i contribuenti abbiano tenuto un comportamento coerente con l’esercizio dell’opzione, in particolare, nelle ipotesi in cui tale esercizio risulti da un accordo o da una fattura precedenti al termine di scadenza per l’invio della comunicazione». Quindi, ad oggi, senza un contratto o una fattura con data precedente il 31 marzo la remissione è impossibile. Le Entrate dovrebbero riaggiornare le condizioni, prevedendo il recupero dell’opzione oltre i termini anche senza un accordo formalizzato.

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