Il CommentoImposte

Il parere del Mise va reso obbligatorio: spazio al confronto

Indifferibile una norma che delimiti anche il campo su inesistenza e non spettanza del credito

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di Maurizio Leo

Il nostro ordinamento fiscale è oggi, anche per effetto della legislazione emergenziale degli ultimi mesi, una babele di agevolazioni fiscali (si pensi alle 539 pagine della circolare 7/E/2021 di analisi delle principali disposizioni agevolative), la maggior parte delle quali assume la forma del credito d’imposta (ricerca e sviluppo, investimenti in beni strumentali o investimenti nel mezzogiorno, per la sanificazione dei luoghi di lavoro, per l’e-commerce e chi più ne ha più ne metta).

Molte, troppe, volte, però, tali norme istitutive di crediti d’imposta non brillano né per chiarezza dei testi né per semplicità di attuazione; mutano troppo spesso i presupposti applicativi e le disposizioni sono infarcite di un elevato contenuto tecnico. Di qui una situazione di perenne incertezza per i potenziali fruitori, a cui è rimessa la determinazione dell’an e del quantum delle agevolazioni, da utilizzare generalmente in compensazione con F24.

Situazione di incertezza e timore che è accentuata dalla sempre più labile distinzione tra credito non spettante e credito inesistente. Distinzione questa, che trova il suo supporto normativo in una norma - l’articolo 13, commi 4 e 5, del Dlgs 471 del 1997 – che non brilla per completezza e chiarezza (per credito inesistente si intende «il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati»; per credito non spettante, invece, si intende l’utilizzo «di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti»). Peraltro, le conseguenze sanzionatorie, amministrative e penali, delle due situazioni sono assai differenti, senza considerare che diverse sono anche le facoltà di accesso a istituti di definizione premiale. L’esposizione di un credito inesistente comporta sanzioni amministrative dal 100 al 200% dell’importo compensato, la pena della reclusione da 18 mesi a sei anni e non è ammessa la definizione al terzo, c’è l’automatica iscrizione nei ruoli straordinari e l’atto di recupero può essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo in compensazione del credito.

La giurisprudenza, compresa quella di legittimità, non sta facendo nulla per dipanare questa situazione di incertezza, adottando, invece, in contrasto con il dato normativo, un’interpretazione tendente a un’ingiustificata estensione della categoria del credito non spettante (Cassazione 19237/2017 e 24747/2020). Anche nei documenti di prassi delle Entrate non viene compiuta alcuna distinzione, attribuendo rilevanza solo alla «mancanza del presupposto costitutivo» dell’agevolazione (circolare 31/E/2020 e risposta a interpello 396/2021).

Qualche «voce fuori dal coro» non è mancata. La stessa Cassazione, con ordinanza n. 29717/2020, ha rimesso la questione in pubblica udienza, onde discutere in modo approfondito il tema. Anche il ministero dell’Economia nella risposta a interrogazione parlamentare 3-02610 (si veda l’articolo), con specifico riferimento al credito d’imposta ricerca e sviluppo, ha affermato come qualora la questione attenga «essenzialmente alla verifica dei contenuti di novità e originalità delle attività svolte» va valutata «l’applicabilità dell’esimente delle obiettive condizioni di incertezza»; obiettiva incertezza che escluderebbe in nuce contestazioni di inesistenza del credito.

In questo quadro, l'unica strada percorribile è un intervento normativo che dovrà auspicabilmente dirigersi in una duplice direzione: da un lato, da un punto di vista sostanziale, l'inesistenza andrebbe limitata alle sole ipotesi più insidiose, quali quelle di costruzioni artificiose, di carenza dei presupposti costitutivi ictu oculi evidente e di mancata acquisizione di opportune certificazioni da soggetti terzi, dando la giusta differenziazione, dunque, a situazioni tra loro non sovrapponibili.

Dall’altro lato, da un punto di vista procedurale, l’auspicio è che, in nome della certezza delle regole e della tutela del legittimo affidamento di quanti in buona fede hanno esposto un credito d’imposta in dichiarazione, le valutazioni tecniche finalizzate a sorreggere il disconoscimento del credito d’imposta non vengano rimesse esclusivamente all’agenzia delle Entrate, ma si renda obbligatoria l’acquisizione di un parere del ministero dello Sviluppo economico, da attuarsi, magari, in contraddittorio con il contribuente che ha fruito del credito contestato.

L'obiettivo è sempre lo stesso: la certezza delle regole. Norme agevolative poco chiare che espongono i contribuenti a conseguenze anche penali non sono solo inutili ma addirittura dannose. Di tutto ha bisogno il nostro Paese, meno che di esporre il contribuente a contestazioni improprie che lo distolgano dall’obiettivo di produrre più ricchezza!