Diritto

Legittimazione del fallito nel processo tributario, appello alle Sezioni Unite

Secondo orientamenti recenti il fallito può agire solo se c’è disinteresse da parte del curatore

di Giulio Andreani

La controversa questione della legittimazione passiva del soggetto fallito (“debitore” nel Codice della crisi) nel processo tributario potrà approdare alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Lo deciderà il primo presidente di tale Corte, a seguito dell’ordinanza 25373, pubblicata il 25 agosto 2022, con cui la Sezione Tributaria (presidente Virgilio, relatore D'Aquino) gli ha rimesso una causa avente a oggetto la legittimazione straordinaria del rappresentante legale di una società dichiarata fallita a impugnare gli avvisi di accertamento notificati a quest’ultima, in costanza di fallimento, dall’agenzia delle Entrate, in merito a periodi d’imposta anteriori all’apertura della procedura, suscettibili di generare quindi crediti aventi natura concorsuale. La rimessione della causa discende, oltre che dall’ importanza della questione sollevata, dalla sussistenza di tesi contrastanti.

A norma dell’articolo 43 della legge fallimentare e, ora, dell’articolo 143 del Codice della crisi, il soggetto fallito è privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento (ora “liquidazione giudiziale”), fatte salve alcune eccezioni. Tuttavia, relativamente ai giudizi originati dall’impugnazione di atti impositivi che possono incidere sull’entità dello stato passivo, è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui il debitore è legittimato a impugnare tali atti se gli organi della procedura rimangono inerti dinanzi alla loro notifica. Ciò in considerazione, non solo del fatto che il fallito conserva la natura di soggetto passivo d’imposta nonostante il fallimento, ma soprattutto perché il suo interesse a impugnare gli atti impositivi differisce da quello di cui sono portatori gli organi della procedura. Questi ultimi, infatti, hanno motivo di opporsi in sede giurisdizionale alla pretesa fiscale solo nel caso in cui l’instaurando contenzioso possa incidere sulla ripartizione dell’attivo (perché capiente). Il contribuente, invece, vi ha comunque interesse, sia perché ha diritto all’eventuale residuo attivo esistente alla chiusura della procedura, sia per i riflessi sanzionatori che possono discendere dalla definitività degli atti impositivi provocata dalla mancata impugnazione degli stessi.

Secondo un primo orientamento della giurisprudenza il debitore sarebbe in via straordinaria legittimato a impugnare gli atti impositivi in caso di inerzia, intesa come mancata impugnazione, da parte del curatore (Cassazione 30/9/2021, n. 16506; 30/4/2014, n. 9434; 9/2/2009, n. 2819), mentre sulla base di un secondo e più recente indirizzo l'inerzia ricorrerebbe solo in assenza di una valutazione negativa - da parte degli organi giudiziali - circa l’opportunità della causa, e quindi a seguito di un vero e proprio disinteresse (Cassazione 26/11/2021, n. 36894; 16/11/2021, n. 34529; 19/10/2021, n. 28973).

Vedremo, quale sarà, se la causa verrà loro rimessa, la decisione delle Sezioni Unite. Il primo orientamento pare tuttavia rispettare meglio il diritto costituzionale del debitore a tutelare i propri legittimi interessi.

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