Imposte

«Diciamo no»: eBay mobilita i clienti

di Alessandro Galimberti

Che il vento stia cambiando sulla questione fiscale digitale nell’Ue lo confermano ormai anche le stesse iniziative dei big della rete. La mail recapitata ieri ai clienti abituali di eBay è indicativa già nel titolo, che suona perentorio : «Di’ “no” alle nuove imposte sulle vendite su Internet nell’Ue». Il motivo della richiesta è poi spiegato con dovizia di punti di vista – il proprio –: «Perché ti riguarda? Non solo i prezzi aumenteranno, ma anche la tua scelta verrà drasticamente ridotta poiché le piccole aziende faranno fatica a esportare nell’Ue». Per arrivare infine alla sollecitazione, molto reale, di mobilitazione: «Fermiamo insieme questa proposta. Non possiamo schierarci contro questi cambiamenti senza il tuo aiuto. Fai sentire la tua voce: firma la nostra petizione».

Da una parte gli Stati chiedono il ripristino delle regole di competizione – e l’inevitabile quanto equo versante di gettito fiscale – dall’altra i grandi player digitali tornano a spronare i soliti cavalli di battaglia, la disintermediazione, il risparmio per il consumatore, la varietà di scelta consentita dal market virtuale.

I dati dell’erario europeo, prima ancora di quello dei singoli Stati,parlano però sin troppo chiaro. Secondo lo studio del team incaricato della riforma della corporate tax europea, coordinato da Paul Tang, nel triennio 2013-15 Google e Facebook hanno drenato ricavi per 54 miliardi di euro che, calcolati sull’aliquota media pagata da Google fuori dalla Ue (tra il 9 e il 10%), significano la volatilizzazione di 5 miliardi di imposta. Dublino, porto sicuro delle due Over the top californiane, ha incassato l’imposta per una frazione infinitesimale, lo 0,82% grazie agli amichevoli scivoli di attrazione, finiti peraltro di recente nel mirino dell’Antitrust continentale. Facebook, sempre secondo il team Tang, fuori dall’Unione europea paga tra il 28 e il 34% sui ricavi, mentre in Europa, e sempre grazie al double-Irish, oscilla tra lo 0,03% e lo 0,10 per cento.

Per limitare l’analisi dei numeri all’Italia, il rapporto è assolutamente in linea con il trend “digitale=scivolo fiscale”. Facebook nel 2016 ha fatturato 9,3 milioni di euro, soprattutto grazie alle inserzioni pubblicitarie mirate, riuscendo a contenere le tasse in un significativo 0,26 milioni. Amazon a fronte di 146 milioni di ricavi ha contribuito al bilancio dello Stato per 3,2 milioni, mentre se Google ha versato la cifra “monstre” di 47 milioni è solo grazie all’annualità dell’accordo fiscale con le Entrate maturato a margine dell’inchiesta penale della Procura di Milano e della Guardia di finanza. La stessa Apple, che pure commercializza non solo servizi digitali, ma anche beni materiali (device), ha ottenuto una performance fiscale significativa, bloccando a 8 milioni l’imposta calcolata su un giro d’affari di 44 (e utili per 17).

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