Imposte

Bene ceduto all’estero da riparare: è importazione se rientra da Paesi non Ue

Alcune procedure come il perfezionamento attivo e la reintroduzione in franchigia consentono di non assoggettare all’Iva all’importazione i beni rientrati in Italia

Il fornitore nazionale che, dopo aver ceduto beni all’estero, deve eseguire sugli stessi interventi di riparazione, a titolo gratuito (garanzia) o a pagamento, è tenuto a seguire procedure diverse a seconda dello Stato di provenienza.

Se il bene rientra da uno Stato Ue, è sufficiente monitorarne la movimentazione (in entrata e, dopo l’intervento, in uscita) attraverso il registro ex articolo 50, comma 5, Dl 331/1993. Se, invece, il bene rientra da uno Stato extraUe, si realizza un’importazione. Per evitare il pagamento di dazi e Iva i dogana al momento dell’entrata dei beni in Italia, si può ricorrere al regime del perfezionamento attivo. Se, in alternativa, l’operatore decide di procedere con un’importazione definitiva, occorre fare attenzione agli effetti della sentenza Ue nella causa C-621/19. Secondo tale pronuncia, infatti, l’Iva all’importazione non sarebbe detraibile in tutti i casi in cui l’importatore non dispone dei beni come proprietario e i costi dei beni importati non esistono o non entrano nel corrispettivo dei beni o dei servizi forniti.

Particolarmente frequenti anche per lo sviluppo delle vendite online, sono i casi di restituzione di beni precedentemente esportati. Anche in quest’ipotesi, esiste una procedura che consente di non assoggettare all’Iva all’importazione i beni rientrati in Italia. Si tratta della reintroduzione in franchigia, ex articolo 68, comma 1, lettera d), Dpr 633/72. Il rigido formalismo dell’istituto è stato snellito grazie al sistema RetRelief (introdotto con la determinazione 329619/2020, modificata dalla determina 386291 e commentat0 dalle circolari delle Dogane 27 e 46 del 2020).

In qualche caso, gli interventi di riparazione vanno eseguiti direttamente all’estero. Il fornitore nazionale che si avvale di centri di assistenza incaricati di effettuare le sostituzioni/riparazioni, potrebbe trovare conveniente dotare di uno stock di beni e/o pezzi di ricambio l’operatore estero. In questi casi, si può valutare la soluzione più conveniente in base al tipo di rapporto instaurato con il riparatore. La soluzione più semplice è quella di vendere direttamente lo stock, realizzando cessioni intracomunitarie o all’esportazione. Ma è anche quella meno apprezzata dal soggetto estero per l'esposizione finanziaria che ne deriva. Se invece si mantiene la proprietà dei beni spediti al centro di assistenza, possono sorgere complicazioni. Spedendo i beni in altro Stato Ue, occorre aprire una posizione Iva in tale Paese per rilevare il trasferimento “a se stessi” e gestire poi le operazioni successive in base alle regole locali. Se la destinazione è extra Ue, si realizza comunque un'esportazione doganale e, se i beni saranno successivamente venduti, avrà luogo una cessione fuori campo Iva, ma va anche verificata la normativa del luogo.

A seconda della tempistica di rotazione dello stock, si può pensare al call off stock che, in ambito comunitario, sospende l’operazione per un periodo massimo di 12 mesi (articolo 41-bis, Dl 331/93). Da accertare in base ai rispettivi ordinamenti, è la possibilità d’instaurare il call off stock con Stati extra Ue (ammissibile in ottica nazionale; risoluzioni 58/E/2005 e 346/E/2008).

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