Controlli e liti

Processo tributario, ok alle prove esibite in appello dall’Agenzia contumace in primo grado

Secondo la Ctr Lazio, a differenza del rito civile, non c’è preclusione alla produzione di nuovi documenti

di Emanuele Mugnaini

L’amministrazione può fare appello ed esibire le prove anche se in primo grado non ha partecipato al processo tributario. Nel rito civile è ugualmente possibile fare appello, ma le prove non possono più essere prodotte.

Così si è espressa la Ctr Lazio con la sentenza 2414/1/2021, chiarendo una sostanziale differenza esistente tra i due riti.

Il caso
Un contribuente impugnava, tramite l’estratto di ruolo, numerose cartelle di pagamento eccependo, tra i vari motivi, l’omessa rituale notificazione delle stesse e la prescrizione dei tributi in esse contenute. L’agente della Riscossione non si costituiva nel giudizio di primo grado e pertanto la Ctp accoglieva il ricorso, condannando alle spese di giudizio l’ente rimasto contumace. Quest’ultimo impugnava la decisione di primo grado relativamente al capo della sentenza che aveva ritenuto prescritte le cartelle. Produceva in appello i referti di notifica e gli atti interruttivi della prescrizione. I giudici della regionale, riscontratane la regolarità dell’operato, accoglievano il gravame.

Le prove in appello
Nelle motivazioni della sentenza la Commissione ha precisato che, a differenza del rito civile, nel giudizio di appello tributario non opera la preclusione alla produzione di nuovi documenti prevista dall’articolo 345, comma 3 Codice procedura civile. Questo anche se l’amministrazione, rimanendo contumace nel giudizio di primo grado, non ha esercitato il proprio diritto di difesa.

L’articolo 58, comma 2 del Dlgs 546/92 delle disposizioni sul processo tributario, fa salva, infatti, la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in sede di gravame. Produzione che deve avvenire nel termine di venti giorni liberi prima della data di trattazione, così come stabilito dall’articolo 32 della medesima norma, stante il richiamo dell’articolo 61 (Cassazzione n. 29735/2020). Quanto precede incontra unicamente il limite costituito dal divieto, per il giudice, di ordinare alle parti l’esibizione di documenti, stante l’abolizione del comma 3 dall’articolo 7 del codice di rito. Divieto che si estende anche al grado di appello, dovendosi ritenere, parimenti, implicitamente abrogato anche il comma 1 dell’articolo 58.

Il principio costituzionale
In tema di esibizione delle prove si è espressa la Corte costituzionale (Sentenza 109/2007) la quale, ritenendo infondata la questione di legittimità relativa all’abolizione del menzionato comma 3, ha sottolineato che, seppure la rilevanza pubblicistica dell’obbligazione tributaria giustifica i rilevanti poteri di cui l’amministrazione finanziaria dispone, ha tuttavia precisato che la fase istruttoria deve obbligatoriamente concludersi con l’emanazione dell’avviso di accertamento. La consulta ricorda, infatti, nell’ottica del principio costituzionale di terzietà, come non sia consentito che il giudice, trasformandosi in una sorta di longa manus dell’amministrazione, si sostituisca ad essa svolgendo, in sede giurisdizionale, attività di accertamento proprie della fase di verifica.

Il giudice può ordinare di propria iniziativa l’esibizione di documenti solo a pubbliche amministrazioni diverse da quelle che sono parte del giudizio. Nei restanti casi, conclude la Consulta, questo può avvenire solo su istanza di una delle parti in causa.

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