Adempimenti

Il recupero dei contributi dal lavoratore in forza abbatte l’imponibile

La quota trattenuta direttamente dal sostituto genera un onere deducibile

Il recupero dei contributi non trattenuti al lavoratore, nel caso di una sua responsabilità nell’errore iniziale, genera un onere deducibile.

La risposta a interpello 117/2022 dell’agenzia delle Entrate, pubblicata lo scorso 15 febbraio, ha fornito alcuni criteri per gestire la fattispecie, non così rara, in cui il datore di lavoro recuperi tardivamente la contribuzione del dipendente nei confronti di un lavoratore non più in forza (si veda l’articolo di NT+ Fisco). Se infatti l’istante del quesito era un ex lavoratore, nella maggior parte dei casi il fenomeno del recupero con diffida Inps dei contributi Ivs non versati oltre il massimale ha invece riguardato i datori di lavoro nei confronti di dipendenti ancora in forza.

Per prima cosa va ricordato che il recupero da parte del datore di lavoro dei contributi a carico del dipendente non è affatto “automatico”. Occorre, infatti, che siano rispettati i criteri stabiliti dall’articolo 23 della legge 218/1952, secondo cui la ritenuta previdenziale a carico del lavoratore può essere trattenuta solo nel periodo mensile di competenza. In caso di versamento tardivo di cui fosse responsabile il datore di lavoro, lo stesso perde qualsiasi diritto al recupero in capo al dipendente, come recentemente confermato anche dalla Corte di cassazione (sentenza 23071 del 2021).

Quindi, nel caso delle diffide per il massimale Ivs relative a situazioni in cui il datore di lavoro avesse applicato il massimale autonomamente senza richiedere alcuna dichiarazione sull’anzianità contributiva ante 1996 al lavoratore o, ancora, avesse chiesto informazioni parziali, i contributi e le sanzioni per omissione contributiva relative alla diffida ricevuta sarebbero integralmente a suo carico.

La risposta 117/2022 ha invece affrontato il caso della responsabilità del lavoratore che aveva dichiarato un’informazione errata, divenendo così responsabile dell’erronea applicazione del massimale nonché della tardività del versamento. In questo scenario, secondo il principio del risarcimento del danno, il datore di lavoro ha il diritto di richiedere la quota a carico del lavoratore nonché di addossargli la totalità, o anche solo parte, delle sanzioni. Tali scelte dovranno essere prese a livello aziendale o, comunque, seguendo criteri omogenei onde evitare possibili contenziosi.

La quota di contributi materialmente trattenuta al lavoratore ancora in forza genererà un onere deducibile, il quale, essendo applicato direttamente dal sostituto d’imposta, abbatterà il reddito fiscalmente imponibile in base all’articolo 51, comma 2, lettera a del Tuir.

Le Entrate hanno inoltre specificato che, nell’ipotesi in cui la restituzione al datore di lavoro avvenga ratealmente in più anni, l’onere è generato con esclusivo riferimento alla quota di contributi restituita in quell’anno dal lavoratore. Quindi, l’onere deducibile da applicare direttamente in busta paga e da certificare in Cu tramite annotazione con codice ZZ sarà quello effettivamente sostenuto nell’anno d’imposta e non quello integralmente considerato e interamente versato dal datore di lavoro, di norma, entro 90 giorni dalla ricezione della diffida a Inps.

L’Agenzia ha poi chiarito che la deduzione sarà riconosciuta unicamente per la quota contributiva del lavoratore e non per le sanzioni (che sono applicate al 5,5% in ragione d’anno per omissione contributiva o, in casi specifici, stabiliti dal messaggio 4412/2021 dell’Inps, nella misura del mero interesse legale), che restano in ogni caso indeducibili.

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