Diritto

Amministratori, scelte insindacabili se non sono avventate

Lo ha ribadito il Tribunale di Torino, sulla base del principio della <i>business judgement rule </i>

di Selene Pascasi

Le scelte degli amministratori di una società di capitali sono insindacabili a meno che, valutate a priori, risultino manifestamente avventate ed imprudenti. Essi, infatti, in virtù dell’applicazione della cosidetta business judgement rule, non rispondono con la diligenza del mandatario ma con la diligenza professionale invocata dall’articolo 1176, comma due, del Codice civile.

Lo ha ribadito il Tribunale di Torino, sezione specializzata in materia di impresa, con la sentenza n. 103 dell’11 gennaio 2023 (relatore Rende). Nel sostenerlo, i giudici ricordano che, secondo gli schemi della diligenza professionale prevista dall’articolo 1176 del Codice civile, comunque esigibile dall’amministratore di una società commerciale, è dovere essenziale l’adempiere al mandato gestorio con la perizia minima richiesta nella conduzione di un’impresa. E ciò, specificano i giudici, richiede un’ordinaria e puntuale contabilizzazione, annotazione e formalizzazione dei flussi di cassa dell’azienda.

Del resto – prosegue il Collegio richiamando la sentenza n. 965 dell’8 settembre 2022, emessa dalla Corte di appello di Torino, sezione V – gli amministratori di una società di capitali rispondono non con la diligenza richiesta al mandatario, ma secondo i precisi dettami della diligenza professionale esigibile ai sensi dell’articolo 1176 comma 2 del Codice civile. Di conseguenza, in applicazione della cosiddetta business judgement rule, le loro scelte sono insindacabili a meno che, valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti. Situazione verificatasi nella vicenda, in seno ad una Srl.

Lo scontro era scaturito dalla decisione di una socia di promuovere un’azione di responsabilità verso un ingegnere in qualità di ex amministratore che, per circa venti anni, aveva esercitato ampi poteri gestori nei più vitali settori dell’azienda quali produzione, commercializzazione, sviluppo tecnologico, controllo di gestione e sui dipendenti, acquisti, gestione finanziaria.

L’operato, però, rilevava la donna, si era tradotto in una cattiva gestione per diverse ragioni tra cui degli incassi non registrati in contabilità, violazioni contrattuali e altre condotte che avevano causato ingenti danni dovuti a perdita di utile. L’uomo, difesa la correttezza del proprio operato, evidenzia la marginalità della posizione rivestita all’interno dell’azienda in riferimento alle vicende denunciate, ma il Tribunale di Torino lo condanna al risarcimento in favore di alcune società danneggiate a vario titolo.

Alla base della valutazione, una serie di fattori: il comportamento tenuto, le cariche rivestite (consigliere di amministrazione, amministratore delegato e procuratore), la facoltà di compiere tutti gli atti opportuni per il raggiungimento dell’oggetto sociale inclusa la rappresentanza societaria e l’essersi scostato dal livello di diligenza professionale ordinariamente esigibile dall’amministratore di una società commerciale.

Si spiega in questi termini la soluzione adottata dal Tribunale di Torino di sancire la responsabilità dell’ingegnere, per via del combinato disposto degli articoli 1176, 1218 e 2476 del Codice civile, e chiamarlo così a rispondere dei nocumenti prodotti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©