Finanza

Sei mesi in più anche per le garanzie a favore degli istituti di credito

Oltre alle garanzie delle banche, la proroga riguarda anche quelle di Cdp

di Paolo Rinaldi

La diffusa incertezza riguardo alla effettiva capacità delle imprese che hanno fatto ricorso alle moratorie di riprendere il regolare corso dei pagamenti sospesi ha condotto il governo a inserire nella bozza del Ddl di Bilancio la proroga sino al 30 giugno 2022 delle misure di garanzia ai finanziamenti bancari previste dall’articolo 1 del Dl 23/2020.

Si tratta dell’intervento in garanzia di Sace a favore delle banche che erogano credito alle imprese; l’intervento opera nell’ambito del temporary framework e dunque con limiti di importo e condizioni di accesso alla misura ben note. Alla medesima proroga saranno interessate anche le garanzie rese ai sensi del comma 13 da Cassa depositi e prestiti sui portafogli di finanziamenti concessi alle imprese che hanno subito una riduzione di fatturato a causa del Covid, nonché le garanzie di Sace a favore di banche o altri soggetti che sottoscrivono in Italia prestiti obbligazionari o altri titoli di debito emessi dalle imprese (comma 14-bis del citato articolo 1)

Ladisponibilità per ulteriori sei mesi di finanza garantita dallo Stato va inquadrata alla luce delle disposizioni regolamentari che disciplinano le misure di forbearance e la classificazione a unlikely to pay dei relativi crediti. Non sono poche le imprese che già prima di Covid avevano fatto ricorso a moratorie e poi si sono trovate ad utilizzare l’ulteriore moratoria prevista dall’articolo 56 del decreto Cura Italia, più volte prorogata. L’ultima proroga delle moratorie al 31 dicembre 2021 è intervenuta in assenza di un’espressa esclusione di tale disposizione da parte del regolatore europeo dalle misure di forbearance. Gli istituti avrebbero quindi dovuto valutare caso per caso se questo – ennesimo – ricorso alla moratoria rappresentasse o meno una misura di concessione per la singola impresa, eventualmente in difficoltà. In presenza di tale circostanza, la classificazione a forborne non performing sarebbe molto difficile da evitare.

Tuttavia, il ricorso a misure di forbearance è oggetto di forte attenzione da parte del regolatore europeo, il quale prevede che lo status performing possa essere perso in caso di ricorso ripetuto a tale misura nel corso di un biennio di under probation. È quindi chiaro che, laddove le imprese non fossero in grado di pagare le rate a fine moratoria, un’ennesima richiesta di rimodulazione delle condizioni dei prestiti porterebbe le banche ad incrementare drasticamente gli accantonamenti, passando queste posizioni da stage 2 a stage 3 come default. Questo rischio ha un tale impatto a livello di sistema da aver condotto il legislatore a consentire – alla scadenza delle moratorie – ulteriori erogazioni di nuova finanza garantita alle imprese, così da evitare crisi conclamate. Si tratta, comunque, di nuovi prestiti particolarmente delicati, che dovranno essere oggetto di accurato esame da parte dei deliberanti anche alla luce delle linee guida regolamentari vigenti per le banche in materia di lending dal luglio 2021.

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