Imposte

Titoli con diritti rafforzati ai manager da inquadrare in base alle clausole

Carried interest: gli interpelli aiutano a orientarsi quando non vale la presunzione del Dl 50/17

Come emerge anche dalle numerose risposte ad interpelli pubblicate di recente dalle Entrate, una tematica di grande attualità è la qualificazione fiscale del carry (per tale intendendosi il reddito percepito da manager-dipendenti di società o di fondi di investimento tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati) . Anche perché negli ultimi anni si sono affacciati sul mercato italiano numerosi investitori (italiani e stranieri) con liquidità importanti da destinare a operazioni di acquisizione.

Fino al 2017, non esisteva in Italia una normativa specifica. Pertanto, l’inquadramento fiscale del carry (come reddito di lavoro dipendente tassato ad aliquota marginale Irpef o di natura finanziaria tassato al 26%) si rivelava spesso incerto.

La natura del carry

Con l’articolo 60 del Dl 50/2017 è stata introdotta una specifica normativa che prevede, in sintesi, la natura finanziaria del carry laddove siano soddisfatte le tre seguenti condizioni:

1 l’investimento complessivo di tutti i manager in titoli con diritti patrimoniali rafforzati comporta un esborso effettivo pari all’1% dell’investimento complessivo;

2 i proventi “rafforzati” maturano solo dopo che tutti gli altri investitori hanno realizzato una somma pari al capitale investito incrementato di un rendimento minimo (hurdle rate);

3 un holding period dei titoli di almeno 5 anni o, se inferiore, fino alla data di cambio di controllo della società o di sostituzione del soggetto gestore del fondo.

Come precisato dalla relazione illustrativa al Dl 50/2017, la ratio dei requisiti di carattere quantitativo e temporale introdotti dall’articolo 60 è quella di garantire l’allineamento di interessi e rischi degli investitori e dei manager.

La norma introduce quindi una presunzione secondo cui, al verificarsi delle tre condizioni, il carry si qualifica, dal punto di vista fiscale, come reddito di capitale o reddito diverso. In assenza di una o più condizioni, la presunzione non opera ed occorrerà pertanto stabilire caso per caso la corretta natura reddituale del provento.

Qualificazione fiscale

L’Agenzia è intervenuta più volte in risposta a interpelli sulla verifica della sussistenza dei requisiti normativi e la qualifica del carry in assenza dei requisiti previsti dalla norma.

Con la risposta 710/2021 è stata confermata la natura finanziaria dei redditi derivanti da un piano di incentivazione (in assenza dei requisiti di legge) dando rilievo alle seguenti circostanze:

gli strumenti con diritti patrimoniali rafforzati erano stati sottoscritti anche da investitori diversi dai manager (in particolare, dalla Sgr gestore del fondo che ha emesso gli strumenti e da ex manager);

la presenza di una retribuzione dei manager allineata agli standard di mercato;

l’assenza di clausole di leavership.

Proprio la presenza e la configurazione delle clausole di good e bad leavership (previsioni che regolano il trattamento dei titoli sottoscritti dai manager in caso di interruzione del rapporto di lavoro, a seconda delle cause che provocano tale interruzione) assumono un ruolo centrale nella qualificazione fiscale del carry, in tutte le fattispecie in cui non opera la presunzione dell’articolo 60. Tali previsioni infatti, se presenti, sono compatibili con la natura finanziaria dei proventi rafforzati qualora non incidano sul’effettivo rischio di perdita del capitale investito dai manager e non comportino un obbligo di trasferimento dei titoli al venir meno del rapporto di lavoro.

A tal riguardo, con la risposta 696/2021, l’Agenzia è intervenuta in relazione ad un piano di co-investimento che prevedeva la facoltà di acquisto, da parte degli altri soci, degli strumenti posseduti dai manager al momento della cessazione del rapporto di lavoro:

in ipotesi di good leaver, ad un prezzo pari al maggiore tra il valore di mercato ed il costo;

in ipotesi di bad leaver, ad un prezzo pari al minore tra il valore di mercato e il costo.

A parere dell’Agenzia, tali previsioni sarebbero indicative di una correlazione del carry con l’attività lavorativa svolta dal manager in conseguenza:

della presenza di una clausola di good leavership che limita l’esposizione al rischio di perdita del capitale investito (il prezzo di acquisto sarebbe almeno pari al costo);

e della presenza della call option che, in ipotesi di bad leavership, verrebbe verosimilmente esercitata dai soci poiché consentirebbe loro di non riconoscere nel prezzo corrisposto (pari al minore tra costo e valore di mercato) l’aumento di valore dell’investimento fino alla fine del rapporto di lavoro.

Al contrario, ad avviso dell’Agenzia, sarebbero compatibili con la natura finanziaria del reddito clausole di leavership che prevedano per i manager il mantenimento degli strumenti anche in seguito all’interruzione del rapporto di lavoro e la partecipazione al rischio di perdita del capitale investito fino al termine dell’investimento (si vedano, in tal senso, le risposte 698/2021 e 435/2020).

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