Controlli e liti

Costi non contabilizzati da dimostrare per il calcolo dell’imposta evasa

La sentenza 23638/2022 della Cassazione: per il computo delle soglie penalmente rilevanti sono necessari allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o il ragionevole dubbio della loro esistenza

di Lia Paggi e Angelo Sozzi

La sentenza 23638/2022 della terza sezione penale della Cassazione affronta il tema della quantificazione dell’imposta evasa, per il raggiungimento delle soglie penalmente rilevanti in base al Dlgs 74/2000. Il caso riguarda un contribuente condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione, per il reato disciplinato dall’articolo 5 Dlgs 74/2000 («omessa dichiarazione»), a seguito di sentenza della Corte d’appello di Bologna (impugnata per Cassazione).

La verifica del giudice

Le tesi difensive facevano rilevare, in particolare, come non risultasse accertato al di là di ogni ragionevole dubbio il superamento della soglia di punibilità (attualmente fissata in 50mila euro per singola imposta), ciò in quanto non sarebbero stati dedotti i costi per la produzione del reddito. Dalla descrizione dei fatti di causa sembra tuttavia che l’imputato non abbia indicato con precisione quali sarebbero stati i costi da dedurre, tanto che la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avendo cura di precisare che: «In tema di reati tributari, al fine di determinare l’ammontare della imposta evasa, il giudice deve operare una verifica che, pur non potendo prescindere dai criteri di accertamento dell’imponibile stabiliti dalla legislazione fiscale, subisce le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale e dalle regole che lo governano, con la conseguenza che i costi deducibili non contabilizzati vanno considerati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza».

Viene quindi ribadito che spetta al giudice penale determinare l’ammontare dell’imposta evasa (la giurisprudenza di legittimità è consolidata sul punto, si vedano ex multis Cassazione penale 37094/2015 e 10811/2014) e che lo stesso, pur non potendo de plano disapplicare le norme sostanziali tributarie, formerà il proprio libero convincimento sulla base delle regole che governano il procedimento penale (ad esempio potendo giudicare sulla base di prove diverse da quelle ammesse nel comparto tributario).

L’imposta evasa e quella dovuta

Il concetto di «imposta evasa», disciplinato dall’articolo 1, comma 1, della lettera f), del Dlgs 74/2000, per la giurisprudenza di legittimità penale prevalente, non coincide necessariamente con quello tributario di «imposta dovuta» (si possono pertanto avere risultati divergenti nei due processi) essenzialmente poiché in ambito penale prevale il concetto di “effettività” dell’imposta. Proprio in applicazione di questi principi, la sentenza mette in luce la necessità di considerare, per la determinazione delle soglie di punibilità, anche i costi non contabilizzati, purché vi sia almeno il dubbio di ragionevole esistenza degli stessi, «non potendosi far coincidere la mancanza di elementi certi e precisi relativi a detti costi con l’irregolarità, anche macroscopica, della tenuta della contabilità» (Cassazione 37131/2013). Resta quindi fondamentale che l’imputato sia in grado di fornire quanti più possibili riscontri fattuali per poter sostenere l’esistenza dei costi per abbattere la soglia di punibilità penale. Nel caso esaminato i giudici non li hanno riscontrati e hanno pertanto dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione.

Questo articolo è realizzato da due degli autori del Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore.

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