I temi di NT+Modulo 24

Credito non spettante o inesistente, lo spartiacque della Cassazione sulla falsità della condotta

Per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che sia ancorato a una situazione non reale o non vera e che non siano ravvisabili elementi giustificativi

di Alessandro Sacrestano

La recente pronuncia della Suprema corte (sentenza 7615/2022) ha riaperto il delicato tema della differenza fra «credito non spettante» e «credito inesistente» ai fini della normativa sanzionatoria prevista per la fruizione di incentivi erogati a mezzo di credito d’imposta (si veda il precedente articolo «Crediti inesistenti e non spettanti, indebita compensazione a due vie»).

La pronuncia di legittimità è tutt’altro che ininfluente ai fini della corretta valutazione dell’operato del Fisco, da un lato, e della definizione dei numerosissimi contenziosi in essere, dall’altro, soprattutto per le ipotesi di revoca del bonus ricerca e sviluppo. L’approccio dell’Amministrazione Finanziaria alle ipotesi di revoca è quasi sempre quello di contestare la più grave fattispecie del «credito inesistente» al beneficiario dell’agevolazione, anche quando, per la complessità della materia e l’ampio margine discrezionale lasciato al Fisco, sarebbe logico non applicare alcuna sanzione o, al limite, quella più lieve comminabile nei casi di «credito non spettante».

La posizione del Fisco

Le ragioni dell’agenzia delle Entrate a sostegno della propensione all’irrogazione della sanzione per «credito inesistente» sono motivate da una rigida applicazione del dettato normativo.
Nell’ambito dell’irrogazione delle sanzioni tributarie non penali nei confronti del contribuente cha abbia indebitamente utilizzato in compensazione un credito d’imposta, il Legislatore ha operato, infatti, un’importante distinzione tra le due fattispecie illustrate.

La duplice casistica delineata dal legislatore deriva dalla necessità di tenere in considerazione la differente “gravità” della condotta del contribuente nelle due diverse fattispecie (credito «non spettante» e «inesistente») e di attribuire conseguentemente una misura sanzionatoria proporzionata a tale differente gravità del comportamento dell’agente.

Per quel che concerne la fattispecie del credito d’imposta «non spettante», in base all’articolo 13, comma 4 del Dlgs 471/1997 viene stabilito che «n el caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato». Orbene, dal dato normativo il Fisco deriverebbe che la fattispecie di credito d’imposta «non spettante» si ha quando l’eccedenza d’imposta o il credito d’imposta sono «esistenti» ma il loro utilizzo avviene:

in misura superiore a quella spettante;

in violazione delle modalità di utilizzo normativamente previste.

Le suddette violazioni – che possono sussistere sia alternativamente che congiuntamente – sono punite con l’irrogazione di una sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato.

Per quel che invece attiene alla differente casistica di indebito utilizzo di un credito d’imposta «inesistente», l’articolo 13, comma 5 del Dlgs 471/1997, adoperando una formulazione più articolata della precedente, prevede che «nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e l’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Dall’enunciazione della norma si evince che nel caso in cui si utilizzi un credito del tutto «inesistente», si applica una sanzione molto più gravosa rispetto alla fattispecie di credito «non spettante», variabile dal 100% al 200% del credito, e al trasgressore viene inibito l’accesso al beneficio della definizione agevolata delle sanzioni (secondo cui la contestazione potrebbe definirsi con il pagamento di un importo pari a un terzo della sanzione).
La norma, inoltre, chiarisce che un credito d’imposta è «inesistente» quando coesistono i seguenti due requisiti:

il credito è privo, in tutto o in parte, dei suoi presupposti costitutivi;

la sua inesistenza non può essere riscontrata attraverso controlli automatizzati (articolo 36-bis Dpr 600/1973 e articolo 54-bis Dpr 633/1972) o mediante controlli basati sul riscontro formale della documentazione (articolo 36-ter Dpr 600/1973).

Con la circolare 4/E/2021, il Fisco ha chiarito che, per evitare azioni non adeguatamente commisurate al rischio sotteso dai controlli, applicherà una sanzione ridotta alla metà (50%) anziché del 100% del credito, quando vi è sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione.

Si ricorda, infine, che l’articolo 10 quater del Dlgs 74/2000 dispone che sia punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi le somme dovute utilizzando in compensazione crediti non spettanti per un importo superiore a 50mila euro e con la reclusione da un anno e sei mesi a 6 anni chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti per un importo superiore a 50mila euro.

Le critiche da dottrina e giurisprudenza

La rigida posizione del Fisco non è passata inosservata, tanto ai commentatori che alla giurisprudenza di legittimità.

La dottrina si è concentrata spesso (sopperendo a un inspiegabile vuoto lasciato dal legislatore) sulla sussistenza o meno di un intento fraudolento in capo al beneficiario dell’incentivo quale elemento di discrimine fra le due fattispecie in argomento.
Tale elemento appare di perfetto buon senso, nella misura in cui (si pensi proprio all’ipotesi di revoca del bonus ricerca e sviluppo o, ancora, al più delicato e complesso caso delle revoche del bonus investimenti nel Mezzogiorno per intervenuta interdittiva antimafia) le norme regolatrici delle agevolazioni fiscali sono connaturate da elementi di complessità e discrezionalità che, in numerosi casi, portano Fisco e contribuenti su posizioni diverse, seppure entrambe corroborate da argomenti sostanziali e di diritto.

Ci sono casi, ad esempio, in cui il Fisco ha insistito per l’applicazione della più grave sanzione per credito inesistente nella revoca del credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo nonostante il beneficiario opponesse un chiaro ed esplicito parere di una Università attestante l’inequivocabile natura della ricerca compiuta.

Il focus sull’intento fraudolento è stato articolato e ben motivato da Assonime, ad esempio, nel documento interpretativo 23/2019.

A fronte di tale posizione, la giurisprudenza iniziale (si veda la sentenza della Cassazione 24093 del 2020) aveva dimostrato di prediligere la posizione del Fisco sulla fattispecie, soprattutto nell’ottica di garantire a quest’ultimo un maggior lasso temporale per esperire le verifiche.

Più recentemente, invece, i giudici di legittimità si sono espressi in termini più compiuti sulla sostanza della materia, prima con le sentenze 34444 e 34445 del 2011 e più recentemente con la sentenza 7615 dello scorso 3 marzo. Secondo la Cassazione per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato a una situazione non reale o non vera e, quindi, che non siano ravvisabili elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza.

In sostanza, quindi, laddove il beneficiario dell’agevolazione argomenti le sue ragioni supportandole con la presenza di documenti chiari e inequivocabili, tanto più se avvalorati da enti esterni, ci troveremmo sempre nell’ambito della fattispecie del credito non spettante.

Diversamente, le sole ipotesi caratterizzate dall’assenza di documentazione o, peggio ancora, dall’esistenza di documentazione falsa, integrerebbero la fattispecie di credito inesistente. Per tale motivo, appare fondamentale il passaggio dei giudici di ultimo grado laddove affermano che l’ipotesi di credito inesistente convive con un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di creare artificiosamente un credito d’imposta per compensare i debiti.


Questo articolo fa parte del Modulo24 Tuir del Gruppo 24 Ore.

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