Controlli e liti

Crediti inesistenti e non spettanti, indebita compensazione a due vie

Cassazione: per i crediti inesistenti la falsità dimostra la volontà di frodare l’Erario. Nel caso dei non spettanti pesa la consapevolezza della inutilizzabilità

di Laura Ambrosi

Per il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti, la falsità dimostra la volontà del contribuente di frodare l’erario. Per i crediti non spettanti, invece, occorre la prova della consapevolezza dell’inutilizzabilità. A precisarlo è la Cassazione con la sentenza nr. 7615 che forse per la prima volta ha distinto in due violazioni l’indebita compensazione.

La vicenda trae origine dalla contestazione di compensazione di crediti inesistenti per spese di ricerca e sviluppo. Superando la soglia penale, era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca. In sede di riesame, l’indagato evidenziava che per analogo reato era già stata disposta la misura cautelare da altro tribunale, verificandosi una duplicazione del vincolo. Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione lamentando che il Tribunale del riesame aveva erroneamente valutato i fatti. Da un lato, l’indagine riguardava il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti mentre dall’altro di crediti inesistenti.

La Suprema Corte, ha precisato che un credito non può essere al contempo non spettante e inesistente. Secondo la sezione tributaria della Cassazione (sentenze n. 34444 e 34445/2021) in riforma di un pregresso orientamento ( sentenza n. 354/2021, 24093/2020), per il credito inesistente (articolo 13 comma 5 Dlgs 471/97) devono ricorrere due requisiti:

1)mancare il presupposto costitutivo (il credito non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);

2)l’inesistenza non deve essere riscontrabile con controlli automatizzati o formali dei dati in anagrafe tributaria.

Se manca uno dei requisiti, il credito non spetta. Se la non spettanza del credito è rilevabile con l’attività di controllo automatizzato o formale tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, è un credito esistente ma non spettante. Se invece, il credito di imposta è non reale, ad esempio perché sorretto da documenti falsi, è inesistente.

La diversità delle due ipotesi incide anche sull’elemento soggettivo del reato. L’inesistenza del credito è di per sé un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di pagare i propri debiti attraverso la creazione artificiosa del credito. Per il credito non spettante, invece, occorre provare la consapevolezza del contribuente dell’inutilizzabilità in compensazione.

La decisione è importante poiché oltre ad applicare nel processo penale i principi della sezione tributaria, chiarisce anche l’onere probatorio dell’una e dell’altra ipotesi delittuosa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©