Imposte

Cessioni intraUe con prova rigorosa

di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

La figura del soggetto passivo d’imposta certificato (affidabile) e la previsione di un quadro definito di prove di obbligatoria accettazione da parte degli Stati membri, ipotizzate a livello di normativa europea (Com 566 e 568 del 2017), contribuiranno a rendere più certa la disciplina della prova del trasferimento dei beni nelle cessioni intracomunitarie.

Nel frattempo, però, prosegue la linea dura della corte di Cassazione. È il caso dell’ordinanza 9717/2018, con cui i giudici contestano il regime di non imponibilità Iva di operazioni per le quali erano stati prodotti i documenti relativi al pagamento e le dichiarazioni degli acquirenti di avvenuta ricezione della merce all’estero. Mutuando il principio affermato per le cessioni all’esportazione, in base al quale, in mancanza della documentazione doganale, è da escludere la rilevanza di documenti di “origine privata” (fatture e documentazione bancaria), potendo essere accettati solo documenti dotati dei requisiti di “certezza e incontrovertibilità” (fra le altre, Cassazione 19750/2013), quali attestazioni di pubbliche amministrazioni del paese d’importazione, l’ordinanza stabilisce che, anche nel caso delle cessioni intracomunitarie, documenti come quelli prodotti in giudizio sono privi di valore ai fini della prova del trasferimento dei beni e della non imponibilità Iva.

Ciò che serve sarebbe altra documentazione «agevolmente utilizzabile dal contribuente»: la lettera di vettura Cmr, con i dati della spedizione e le firme di cedente, vettore e cessionario, e i contratti commerciali fra le parti.

Si tratta di conclusioni che destano perplessità. Una prima considerazione, in effetti, concerne proprio la natura dei documenti che sarebbero idonei a comprovare il regime dell’operazione.

Il documento di trasporto Cmr (peraltro, presente solo se interviene un vettore, ma non certo per i trasporti con mezzi di cedente o cessionario) e i documenti contrattuali sono anch’essi, infatti, di origine “privata” e, quindi, in nulla equiparabili all’attestazione di una pubblica autorità (la dogana d’importazione nel paese d’arrivo dei beni). Né si vede quali documenti di origine “non privata”, almeno allo stato attuale (ossia prima che entrino in vigore le annunciate modifiche della normativa europea), siano producibili nell’ambito delle operazioni fra Stati membri. Il che, legittima più di un dubbio sulla trasposizione (acritica) al settore dell’Iva intracomunitaria delle regole applicabili alle cessioni all’esportazione, la cui disciplina è fortemente “integrata” con la normativa doganale in materia di prova del trasferimento dei beni (e fermo restando che le conclusioni della giurisprudenza paiono criticabili anche sul punto specifico).

Sotto altro profilo, poi, il rilievo attribuito al documento Cmr (la cui importanza è sottolineata dalla risoluzione 19/E/2013), non pare così pacifico nemmeno per la Cassazione. Nella sentenza 19747/2013, infatti, i giudici hanno precisato che neppure il Cmr sarebbe sufficiente a provare il trasferimento dei beni nelle vendite franco fabbrica, occorrendo un ulteriore documento firmato dal destinatario che attesti la ricezione dei beni nell’altro Stato membro (ovverossia proprio ciò che è stato prodotto nel caso dell’ordinanza 9717/2018).

In un simile (poco nitido) scenario, persino le indicazioni dell’amministrazione finanziaria paiono ispirate a un maggior equilibrio (fatta salva la loro applicazione sul campo). In quest’ottica, la risoluzione 477/E/2008 ha affermato che, laddove l’esibizione del documento di trasporto non risulti possibile, la prova del trasferimento dei beni può essere fornita con qualsiasi altro documento. Nello stesso senso, è la risoluzione 71/E/2014 che, in analoghe circostanze (mancanza del documento di trasporto), ammette che la prova è desumibile da un insieme di documenti da cui emerge «con sufficiente certezza» che il bene è stato trasferito nello Stato del cessionario, in un contesto, potrebbe dirsi, di complessiva coerenza della documentazione disponibile, ivi compresa quella commerciale menzionata negli interventi delle Entrate e valorizzata dall’ordinanza.

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