Controlli e liti

Fatture inesistenti con provenienza «terza» provata dall’Ufficio

Per la Ctp Milano si sarebbe dovuto provare sia pure per indizi la connivenza con i fornitori

di Enrico Holzmiller

L’ufficio, nell’ambito delle contestazioni su fatture soggettivamente inesistenti, è tenuto a provare, anche per presunzioni, che le forniture provengano da soggetti terzi, rispetto ai fornitori ufficiali. Così la sentenza 2976/21 della Ctp Milano (presidente e relatore Ortolani) sul caso di una contestazione basata sull’asserita esistenza di cartiere a valle della catena distributiva (rispetto al contribuente accertato).

Quanto agli elementi di sospetto diretti ed indiretti da circoscrivere, nel caso di specie, l’Ufficio non ha provato, neppure per indizi, alcuna connivenza tra la società ricorrente e i soci/amministratori delle società fornitrici. La pretesa erariale si è quindi basata sull’inesistenza della «colpevole ignoranza» in capo alla ricorrente. Si tratta di una strada percorribile, cita la sentenza, laddove sussistano «elementi di sospetto diretti derivanti da situazioni oggettive di fatto, quali attività, struttura, modalità di fornitura, di pagamento e simili, ovvero indiretti quali essenzialmente in trarre vantaggio dall’operazione, il tutto in un quadro di confronto rispetto agli ordinari rapporti commerciali».

Per quanto concerne gli elementi diretti, non può tuttavia essere eccepito al contribuente ciò che quest’ultimo non è ragionevolmente in grado di conoscere, come l’asserita mancanza di adempimenti fiscali in capo ai fornitori della società ricorrente, coinvolti nella vicenda. Un tale fatto – precisa la Commissione – può essere conosciuto all’Ufficio, ma non certo in via normale dal cliente.

Per quanto concerne gli elementi indiretti, particolare attenzione rivestono i prezzi praticati e le condizioni di fornitura. Al riguardo, mentre l’Ufficio non ha proposto alcun elemento probatorio, neppure per presunzione, la società ricorrente ha prodotto listini prezzi e condizioni di vendita scambiate tra le parti, nonché documentazione attestante contestazioni sulla quantità di merci, resi e riduzione dei pagamenti, tali da provare l’esistenza di un sano e reale rapporto commerciale.

Infine, quanto alla prova dell’esistenza di un «fornitore terzo» i giudici milanesi continuano l’analisi, sottolineando come in tutta la ricostruzione dell’Ufficio non vi sia alcun elemento o indizio, formale o sostanziale, a sostegno della tesi che le forniture provengano da terzi soggetti, ad esempio tramite l’indicazione di altri fornitori, e ciò stride con la concordanza di documentazione, di tempi, e di pagamenti quanto alle operazioni contestate.

Pertanto – conclude la Commissione – delle due l’una: o le prestazioni sono state rese da altri, ma nulla tra i documenti depositati, né le stesse conclusioni dell’Ufficio, è idoneo a provare ciò, ovvero le prestazioni sono state effettivamente svolte dalle società fornitrici coinvolte, ma in tale ultimo caso in modo tale da escludere una conoscenza anche indiretta della frode da parte della ricorrente.

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