Diritto

Modello 231 e risarcimenti evitano soltanto le sanzioni interdittive

La Cassazione ribadisce l’impossibilità di estinguere le pene pecuniarie

di Sandro Guerra

Per le società e gli enti le misure riparative delle conseguenze da reato possono evitare l’irrogazione delle sanzioni interdittive ma non possono estinguere le sanzioni pecuniarie. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza emessa a Sezioni unite (la n.14840 del 6 aprile scorso) che, con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti, ha escluso l’applicabilità dell’istituto dell’ammissione alla prova previsto dall’articolo 168-bis del Codice penale.

Se da un lato la pronuncia dimostra nuovamente la netta diversità del corporate trial rispetto al processo penale “tradizionale” – escludendo la praticabilità di soluzioni di diversion, pensate per la persona fisica quale forma alternativa di contrasto alla criminalità estranea alla giustizia punitiva classica –, dall’altro non sembra da sottovalutare l’accenno alle «forme di riparazione delle conseguenze da reato» già previste dal Dlgs 231/2001 e ricordate dalla stessa Corte: una sorta di invito, nella sostanza, a non ricercare fuori dal sistema ciò che al suo interno è già contenuto.

Per l’imputato persona fisica, scrivono le Sezioni Unite, l’istituto della messa alla prova «è volto alla risocializzazione del reo, assicurando in relazione alla finalità specialpreventiva un percorso che tiene conto della natura del reato, della personalità del soggetto e delle prescrizioni imposte, così da consentire la formulazione di un favorevole giudizio prognostico». Ed ancora: «Il procedimento di ammissione alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno cagionato».

L’articolo 17 del Dlgs 231/2001, rubricato giustappunto «Riparazione delle conseguenze del reato» stabilisce invece che le «forme di riparazione delle conseguenze da reato» rilevano «solo in relazione alla mancata applicazione di sanzioni interdittive e non già per l’estinzione di sanzioni pecuniarie».

L’ente può evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive al ricorrere di tre condizioni «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado»:

aver risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, o comunque essersi efficacemente adoperato in tal senso (articolo 17, comma 1, lettera a);

aver messo a disposizione della confisca il profitto conseguito (articolo 17, comma 1, lettera c);

aver eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Una condizione, quest’ultima che costituisce lo strumento riparatorio principe stabilito dall’articolo 17, comma 1, lettera b, del Dlgs 231 che impone all’ente di “risocializzarsi” non solo monetizzando la propria responsabilità con il risarcimento e la messa a disposizione del profitto, ma soprattutto agendo sulla propria organizzazione.

Ed è ovvio che sia così, perché l’ente risponde non “del” reato – rispetto al quale la persona fisica può essere affidata al servizio sociale per lo svolgimento di un programma (articolo 168-bis, comma 2, del Codice penale), che secondo le Sezioni unite si sostanzia in un vero e proprio «esperimento trattamentale» –, ma “per” il reato commesso dal soggetto apicale o subordinato e propiziato dalla colpa organizzativa, ovverosia da un deficit di direzione o vigilanza (Cassazione, sentenze 54640/ 2018 e 38083/2009).

Le regole
Il principio
La Cassazione (sentenza 14840/2023) ha chiarito che per le società e gli enti le misure riparative delle conseguenze da reato possono evitare le sanzioni interdittive ma non possono estinguere le sanzioni pecuniarie
Le condizioni
Le sanzioni interdittive possono essere evitate se prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, l'ente dimostra di: aver risarcito integralmente il danno, aver messo a disposizione il profitto conseguito e, soprattutto, aver eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato, adottando e attuando modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie

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