Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: ritenute, transfer pricing, fallimento e Tosap

di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

Non si applica la ritenuta sugli interessi pagati alla stabile organizzazione italiana della banca straniera. Sindacabile la cessione tramite trattativa privata del ramo d’azienda durante il concordato preventivo. Il ”transfer pricing” va valutato con i prezzi similari praticati in regime di libera concorrenza anziché con i prezzi infra-gruppo. Compensazione del credito del fallito ammessa, anche se esigibile dopo la dichiarazione fallimentare. Senza servitù “tipica” l’area antistante la stazione non va assoggettata alla Tosap. La “revisione” imprevista del corrispettivo legittima sempre l’emissione della relativa nota di credito. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

Niente ritenuta sugli interessi dati alla banca estera presente in Italia

La società italiana non applica la ritenuta sugli interessi pagati, a fronte del finanziamento ottenuto, alla banca straniera che ha una stabile organizzazione nel territorio nazionale, anche se questa per erogare il credito si è avvalsa dei «credit support agreement», ossia di altri soggetti esteri i quali forniscono alla banca la somma da finanziare partecipando con questa al rischio di credito. Questo perché tale tipologia contrattuale (cosiddetta Iblor) non equivale ad un finanziamento diretto da parte di soggetti esteri alla contribuente italiana (borrower), che è estranea al rapporto tra banca finanziatrice (banca straniera avente stabile organizzazione nel territorio nazionale, cioè lender), e soggetti esteri (cosiddetti agreement credit supporters).
In primo luogo, dal punto di vista procedurale, l’amministrazione, prima di emanare l’accertamento, deve instaurare il contraddittorio preventivo col contribuente, il quale va attuato: a) anche in difetto di un’espressa previsione normativa, circostanza questa che risulta dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea; b) nei casi di elusione come risulta, tra l’altro, dal nuovo articolo 10-bis della legge 212 del 2000. In pratica, l’accertamento deve essere emesso dopo l’instaurazione del contraddittorio e deve tener conto delle osservazioni fornite dal contribuente.
In secondo luogo, dal punto di vista sostanziale, l’accertamento è illegittimo: a) perché la contribuente italiana è estranea al rapporto che la banca straniera con stabile organizzazione in Italia ha con gli agreement credit support esteri. Questo perché i due rapporti (finanziamento tra operatori italiani – borrower-lender – e tra banca italiana e finanziatori esteri – lender-credit support) sono del tutto distinti ed autonomi e correttamente non va applicata la ritenuta sugli interessi prevista dal quarto comma 4 dell’articolo 26 del Dpr 600 del 1973; b) in ogni caso l’operazione non ha alcun intento elusivo dato che non vi è stato alcun indebito risparmio d’imposta.
Nel caso in esame, nel maggio 2005 una Spa sottoscrive un contratto di finanziamento per oltre 2miliardi e 620milioni di euro, con una banca estera per il tramite di una filiale avente stabile organizzazione in Italia. A sua volta, la stabile organizzazione stipula in pari data un contratto con altre banche avente sedi all’estero definite credit support che si obbligavano a fornire a questa la cifra destinata al finanziamento della Spa italiana, con una remunerazione legata al rimborso di capitale e interessi della contribuente, partecipando di fatto al rischio di finanziamento. L’amministrazione, nel novembre 2014, notifica un questionario alla contribuente italiana e chiede spiegazioni circa la mancata applicazione della ritenuta sugli interessi pagati dalla stessa alla banca finanziatrice relativi all’anno 2009 e la contribuente risponde che le somme sono corrisposte ad una stabile organizzazione. L’amministrazione emette accertamento per omessa applicazione delle ritenute siccome sostiene che l’operazione sia elusiva perché, di fatto, il soggetto finanziatore non è la stabile organizzazione bensì gli investitori esteri, avviso prontamente impugnato dalla contribuente.

Ctr Lombardia, sentenza 500/6/2018

Sindacabile la cessioneper trattativa privata del ramo d’azienda in concordato

L’amministrazione può sindacare il valore del ramo d’azienda ceduto tramite trattativa privata autorizzata dal giudice delegato fallimentare, perché tale autorizzazione non equivale a gara pubblica, asta pubblica, o vendita all’incanto, che sono per contro insindacabili per legge.
Dal punto di vista normativo, va, infatti, riconosciuto all’amministrazione il potere di sindacare il valore del prezzo di cessione di ramo d’azienda nel caso in cui questa sia avvenuta a “trattativa privata” ancorché autorizzata dal giudice fallimentare. Questo perché non si applica l’articolo 44 del Dpr 131/1986 secondo cui, in caso di vendita di mobili o immobili in sede di espropriazione ovvero tramite asta pubblica o vendita all’incanto, la base imponibile è determinata dal prezzo di aggiudicazione fissato dal giudice ed è non sindacabile dall’ufficio. Infatti si è in presenza di una vera e propria trattativa privata semplicemente autorizzata del giudice.
Dal punto di vista sostanziale, però, il valore di trasferimento può essere ritenuto congruo come risulta dalle circostanze oggettive dimostrate dal contribuente e non adeguatamente contrastate dalla amministrazione, come, ad esempio, i seguenti elementi: a) il valore dei marchi, indicati nel patrimonio aziendale così come risulta da perizia asseverata da professionista, è stato azzerato in ragione della sua scarsa commerciabilità e improduttività, trattandosi di marchi registrati molti anni prima della cessione, il cui ammontare non è stato confutato adeguatamente; b) il valore d’avviamento risulta essere congruo, perché tiene conto dello stato di crisi in cui verte l’azienda che ha portato all’ammissione del concordato preventivo, valore che, tra l’altro, risulta superiore a quello determinabile ai sensi del comma 4, articolo 2 del Dpr 460/1996 (norma che disciplina le modalità di calcolo dell’avviamento), con moltiplicatore dei ricavi dichiarati ridotto a due unità data l’assenza di attività negli ultimi due periodi d’imposta.
Nel caso in esame, una srl verte in stato di crisi ed è ammessa alla procedura di concordato preventivo. Cede, tramite trattativa privata, nel febbraio 2015, un ramo d’azienda ad un corrispettivo per oltre 190mila euro, dopo aver ottenuto la relativa autorizzazione da parte del giudice delegato del fallimento. L’Amministrazione ridetermina il valore della cessione in 313mila euro e accerta la maggiore imposta di registro dovuta tramite avviso di liquidazione notificato nel marzo 2017. La contribuente lo impugna e chiede la conferma della congruità del corrispettivo di cessione per i seguenti motivi: a) Nell’attivo patrimoniale sono stati azzerati i marchi, perché registrati nel lontano 1989 e non più commercializzabili, mentre l’Amministrazione ha attribuito un valore di 93mila euro; b) Il valore dell’avviamento dichiarato in oltre 151mila euro è congruo, contrariamente alla valutazione dell’Amministrazione, che ha attribuito allo stesso valore di 183mila euro, alla luce dello stato di crisi aziendale che ha portato all’ammissione al concordato preventivo e per essere l’avviamento dichiarato in linea con la normativa disciplinante le modalità della sua determinazione.

Ctp Lecco, sentenza 41/2/2018


Transfer pricing, non va fatto il confronto con i prezzi infra-gruppo

Le componenti di reddito derivanti da operazioni effettuate dalla società con imprese estere, che, direttamente ovvero indirettamente, la controllano, vanno determinate prendendo a riferimento i prezzi pattuiti tra soggetti indipendenti ed operanti in condizioni di libera concorrenza, così come richiedono la normativa italiana a livello nazionale e le linee guide emanate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) a livello europeo, anziché con i prezzi infra-gruppo.
Nel primo caso, relativamente ai componenti reddituali derivanti da operazioni con imprese estere controllanti la contribuente italiana, occorre riferirsi, così come prevede il settimo comma dell’articolo 110 del Tuir, ai prezzi dei beni in libera concorrenza tra operatori indipendenti. Per determinare, poi, il valore normale di tali beni, bisogna riferirsi all’articolo 9 del Tuir, e quindi prendere a riferimento il prezzo mediamente praticato in condizioni di libera concorrenza ed alle medesime condizioni. Nel secondo caso, in base all’articolo 9 delle linee guida OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico), quando due imprese collegate pongono in essere transazioni commerciali e sono, pertanto, tra loro vincolate da condizioni contrattuali diverse da quelle che si sarebbero realizzate in condizioni di libera concorrenza, gli utili che si sarebbero realizzati in condizioni di indipendenza possono essere tassati dagli Stati membri.
Pertanto è illegittimo l’accertamento dell’Amministrazione tramite il quale recupera la maggiore Ires derivante da presunti proventi non dichiarati a fronte di operazioni c. d. di “transfer pricing”, e che ridetermina la base imponibile Ires dalla contribuente italiana collegata alla società estera riferendosi come parametro ai prezzi praticati all’interno del gruppo anziché quelli praticati in condizioni di libera concorrenza.
Nel caso in esame, l’Amministrazione accerta una Spa per il periodo d’imposta 2008 e ridetermina maggiore imponibile Ires di oltre 12milioni e 523mila euro, perché ritiene non dichiarati proventi a fronte di operazioni di transfer pricing, royalties percepite ma ritenute incongrue dall’Amministrazione per essere l’operazione priva di adeguata remunerazione. La rettifica poggia sui valori di trasferimento infragruppo. La contribuente si oppone contesta la ripresa erariale per mancato confronto con i prezzi similari praticati in condizioni di libera concorrenza.

Ctr Lombardia, sentenza 519/14/2018


Pre fallimento compensabili crediti e debiti a prescindere dall’esigibilità

È ammissibile la compensazione fallimentare, ossia la compensazione tra credito vantato dal terzo nei confronti del fallito e credito del fallito vantato nei confronti del terzo, a condizione che il fatto costitutivo, ossia il fatto genetico dell’obbligazione, sia anteriore alla dichiarazione di fallimento. Non rileva nemmeno il momento in cui l’effetto compensativo si produce, e quindi la circostanza che il credito del fallito sia divenuto liquido ed esigibile post dichiarazione di fallimento. Ciò si ricava dalla corretta interpretazione della normativa di riferimento. In particolare, in base all’articolo 56 della Legge Fallimentare, i creditori hanno diritto di compensare, coi loro debiti, i crediti che essi vantano nei confronti del fallito, anche se i crediti non sono ancora esigibili, ancorché non scaduti. In sostanza, la compensazione è ammessa purché i c. d. “fatti genetici” delle situazioni giuridiche contrapposte preesistevano già prima della dichiarazione di fallimento. Ed è irrilevante sia la declaratoria di fallimento, sia la circostanza che il credito del fallito sia divenuto liquido ed esigibile solamente post procedura fallimentare. E’ pertanto legittima la compensazione operata dall’Amministrazione, che vanta crediti derivanti da iscrizioni a ruolo (ruoli formatisi prima della dichiarazione di fallimento) non pagati dal soggetto poi dichiarato fallito, con le ritenute da questi pagate, prima della dichiarazione di fallimento, a titolo d’acconto sul Tfr e richieste a rimborso per impossibilità di portarle in compensazione.
Nel caso in esame, la Alfa spa, nel corso degli anni 1997-1998 effettua versamenti all’erario a titolo di acconto per ritenuta su Tfr dei dipendenti, da portare in deduzione all’atto della successiva erogazione, per oltre 443mila euro (vale a dire quasi 900 milioni di di lire). In seguito la Alfa spa cede, nel giugno 1999, un ramo d’azienda alla Beta spa, cessione in cui erano compresi sia i debiti per Tfr verso dipendenti che i crediti per le ritenute versate. Nel novembre 2002 la Beta spa viene poi dichiarata fallita, e conseguentemente la contribuente perde la possibilità di portare in deduzione le ritenute già versate dalla Alfa cedente, dato che il Tfr è erogato dal Fondo Garanzia istituito presso Inps. Allora la Beta Spa chiede a rimborso le somme versate a titolo d’acconto, diritto poi ottenuto con sentenza passata in giudicato emessa nel luglio 2015 dalla Ctr territorialmente competente. L’Amministrazione, anziché erogare la somma, compensa il credito vantato dalla Beta Spa con debiti tributari relativi agli esercizi dal 1999 al 2001 ammontanti ad oltre 1milione e 900mila euro. Il Fallimento impugna il provvedimento di compensazione ritenendo che le somme a credito siano divenute esigibili solamente a seguito dell’insinuazione del Fondo di Garanzia dell’Inps al passivo, ossia in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento

Ctp Varese, sentenza 59/1/2018


Senza servitù “tipica” l’area antistante la stazione non è soggetta alla Tosap

Non è soggetta alla Tosap l’aera di proprietà delle Ferrovie dello Stato ancorché concessa in uso dal Comune. Questo perché tali aree non possono equipararsi né ad aree di proprietà dell’Ente Locale né ad aree private gravate da c. d. “servitù di pubblico passaggio”. E’ pertanto infondata la tesi dell’Ente locale secondo cui, sull’area in questione, si sarebbe formata una servitù di pubblico utilizzo (servitù di parcheggio), seppur in forma “atipica”, rappresentata dalla circostanza che l’area è utilizzata come parcheggio dalla collettività.
Infatti: a) Nell’ordinamento giuridico vige il principio del numero chiuso dei diritti reali, tra cui vi rientrano le c.d. servitù fondiarie, le quali nascono per contratto e sono soggette ad un sistema di pubblicità immobiliare; b) Tale tipologia di servitù, oltre che per contratto, può concretizzarsi anche per il tramite di una c.d. sentenza costitutiva del diritto, che per essere opponibile a terzi deve altresì essere trascritta nei pubblici registri immobiliari; c) E’ assente anche il c. d. elemento soggettivo, perché ad esempio non può costituirsi servitù di passaggio se chi passa su area altrui non riconosce, per iscritto, che sta usufruendo di una concessione benevola da parte del proprietario. In ogni caso c’è la buona fede da parte dell’Ente Ferrovie dello Stato che ha sottoscritto con il Comune apposita convenzione riservandosi il diritto di occupare le aree date in uso al Comune senza corresponsione di indennizzo alcuno.
Nel caso di specie, l’ente Ferrovie dello Stato è proprietario di area di 480 metri quadri adiacente stazione e nel 1989 stipula convenzione col Comune ove ricadono tali aree, concedendole di fatto in uso all’Ente ma riservandosi il diritto di occupare sempre in ogni tempo tale area, senza corresponsione di alcun indennizzo. Nell’aprile 2016 comunica al Comune che intende occupare tale area per il periodo tra il 9 maggio 2016 ed il 17 maggio 2016. L’ente, in data 4 maggio 2016, emette ordinanza di divieto di sosta in tale area. Successivamente, la società incaricata dall’ente per l’accertamento e riscossione di tributi locali, emana avviso Tosap attraverso il quale pretende pagamento di complessivi oltre 2mila euro, sostenendo che su tale suolo, seppur privato, si fosse creata una c.d. servitù di passaggio pubblico, dato che l’aera è utilizzata come parcheggio dalla collettività. La contribuente presenta istanza autotutela nell’ottobre 2016, ma vedendosi respinta tale istanza con nota del novembre 2016, la società impugna l’avviso.

Ctp Treviso, sentenza 119/01/2018


La revisione del corrispettivo legittima l’emissione della nota di credito

E’ valida l’emissione della nota di credito (variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta) se sopraggiunge una componente imprevista che comporta una revisione dei prezzi al ribasso e, quindi, di prezzi completamente diversi da quelli originariamente pattuiti. Questo perché tale “revisione” rappresenta quella condizione al verificarsi della quale è possibile variare imponibile, come risulta sia dalla normativa nazionale sia da quella europea. Per quel che concerne la normativa nazionale, la variazione in diminuzione dell’imponibile è possibile qualora si verifichino le condizioni previste dall’articolo 26 del Decreto Iva ovvero quando sopraggiunga dichiarazione di nullità, annullamento revoca, risoluzione, rescissione e/o eventi similari: e tra tali eventi similari rientra la revisione al ribasso dei prezzi dovuti ad elementi “esterni”, ossia imprevisti. Per quel che concerne la normativa comunitaria, la Direttiva 2006/112/CE, all’articolo 90, dispone testualmente che, in caso di riduzione di prezzo, dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile va debitamente ridotta. Pertanto è illegittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione nei confronti della contribuente a seguito del disconoscimento delle note di credito da questa emesse nei confronti della società/filiale estera, se a loro volta, i ricavi fatturati dalla filiale al cliente estero subiscono una forte riduzione a seguito dell’imposizione di prezzi al ribasso imposti dalle autorità estere.
Nel caso in esame, una srl si aggiudica un appalto per la costruzione di una condotta sottomarina in Libia. I lavori vengono svolti da una filiale estera, la quale emette fattura al cliente estero. Per contro, riceve, a sua volta, fattura emessa dalla contribuente italiana. In seguito le autorità libiche impongono la riduzione dei prezzi e pertanto i ricavi della filiale libica si riducono drasticamente. A seguito di tale riduzione, la contribuente italiana storna parte delle fatture già emesse alla filiale libica. L’Amministrazione ritiene illegittima la riduzione dell’imponibile della srl a seguito dell’emissione di tali note credito e ricupera maggiore Ires, Irap ed Iva tramite accertamenti relativi all’anno 2006 perché sostiene l’estraneità del collegamento tra ricavi della filiale libica e ricavi della contribuente italiana.

Ctr Sardegna, sentenza 242/4/2018

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