Controlli e liti

Telefisco 2022, tutte le risposte della guardia di Finanza

Ecco le risposte della guardia di Finanza presentate a Telefisco 2022. Si tratta di una selezione dei tanti chiarimenti forniti durante il convegno annuale da parte delle Entrate, Mef e Gdf interamente consultabili su Nt+Fisco.

1 - Reati dichiarativi e società di persone

In ipotesi di reati dichiarativi che prevedono soglia di punibilità, ai fini delle imposte dirette è penalmente rilevante la dichiarazione del singolo socio e quindi il superamento della soglia di punibilità va calcolato con riferimento all’Irpef evasa da ciascun socio? L’altro parametro (elementi di reddito sottratti a imposizione superiori al 5% o al 10% a seconda sia una dichiarazione fraudolenta o infedele) si calcola sempre con riferimento alla dichiarazione Irpef di ciascun socio?

Risposta a cura del Magg. Padovan Federico

Come noto, il reddito delle società di persone è tassato in capo ai soci, previa imputazione degli utili in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione e a prescindere dall’effettiva percezione (art. 5, comma 1, Tuir). Le società di persone devono presentare la dichiarazione agli effetti delle imposte sui redditi dovute dai soci (art. 6, comma 1, Dpr 600/73) e alla rettifica di tali dichiarazioni si procede con un unico atto, anche ai fini delle imposte dovute dai soci (art. 40, comma 2, Dpr 600/73).Tale disciplina, che esclude un’autonoma soggettività tributaria ai fini reddituali della società di persone rispetto ai soci, rende del tutto peculiare la configurabilità dei reati dichiarativi previsti dal Dlgs 74/2000, sia sotto il profilo dell’individuazione dei soggetti attivi che dal lato della verifica del superamento delle soglie di punibilità. Infatti, per le società di persone, la dichiarazione in cui si realizza l’evasione sulle grandezze imponibili è diversa da quella dei singoli soci dove si manifesta l’imposta evasa.

Nel «Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali - circolare 1/2018», tenuto conto che l’art. 1, lett. f) del Dlgs 74/2000 definisce “imposta evasa” la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata in dichiarazione (ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione) e del fatto che i delitti dichiarativi sono reati di evento di danno, viene indicato di verificare in capo ai singoli soci il superamento delle soglie relative tanto all’imposta evasa quanto agli elementi attivi sottratti all’imposizione.

Tuttavia, si è formato, successivamente, un orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato dichiarativo può essere integrato dal socio amministratore anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della società, con conseguente “inevitabile valutazione unitaria, siccome riguardante la società di riferimento cui inerisce la dichiarazione, della imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità”.

L’imposta evasa dovrebbe essere calcolata, quindi, come somma delle imposte evase dai soci (Cass. 34407/2021, 31195/2020 e 19228/2019). In tali pronunce non viene affrontata la questione relativa alle modalità di determinazione del secondo parametro richiesto dai reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e dichiarazione infedele, concernente gli elementi attivi sottratti all’imposizione.

È evidente che i militari del Corpo, nell’adempimento degli obblighi previsti dal codice di procedura penale, hanno sempre cura di fornire all’autorità giudiziaria tutti gli elementi necessari a valutare la sussistenza di eventuali responsabilità sia del socio su cui incombe l’obbligo dichiarativo della società sia degli altri soci.

2 - Indebita percezione fondo perduto e responsabilità delle società

In caso di indebita percezione di un contributo a fondo perduto percepito da una società, previsto dalla normativa sull’emergenza sanitaria, le unità operative del Corpo verificano anche l’eventuale sussistenza della responsabilità amministrativa dell’ente ex decreto legislativo 231/2001?

Risposta a cura del Magg. Tassoni Federica

Le unità operative del Corpo verificano l’eventuale sussistenza della responsabilità amministrativa dell’ente ogniqualvolta rilevano condotte che integrano uno dei reati presupposto di tale disciplina. Tra questi, ai sensi dell’art. 24 del Dlgs 231/2001, vi sono quelli di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, previsti e puniti, rispettivamente, dagli artt. 316-ter e 640-bis c.p., ravvisabili, alternativamente, anche in caso di indebita percezione di contributi a fondo perduto.

Secondo il parere reso il 10 maggio 2021 dall’ufficio legislativo del ministero della Giustizia al ministero dell’Economia e delle Finanze, laddove il contributo percepito sia pari o inferiore alla soglia di rilevanza penale di 3.999,96 euro, prevista dal secondo comma dell’art. 316-ter Codice penale e, allo stesso tempo, non ricorrono i presupposti per la configurabilità del reato di cui all’art. 640-bis Codice penale, è applicabile solo la sanzione amministrativa di cui all’art. 25, comma 12, del Dl 34/2020. In questi casi, quindi, la responsabilità dell’ente non può sussistere.

Diversamente, al superamento della citata soglia, qualora sia configurabile la condotta contemplata dall’art. 316-ter, comma 1, Codice penale, i reparti del Corpo, anche su delega dell’autorità giudiziaria, svolgono tutti i necessari approfondimenti per accertare i presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità amministrativa dell’ente, anche in funzione della richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in forma diretta e per equivalente, ai sensi degli artt. 9, 19 e 53 del DlLgs 231/2001.

3 - Srl unipersonali

Quale è la posizione del Corpo sotto il profilo operativo in merito all’applicazione della normativa ex decreto legislativo 231/2001 alle Srl unipersonali?

Risposta a cura del Magg. Murro Marco

Il tema della responsabilità amministrativa da reato delle srl unipersonali suscita da sempre un ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza.

Se da un lato si registrano posizioni tese ad escludere i predetti enti dal campo di applicazione del Dlgs 231/2001, di fatto assimilandoli a imprese individuali, dall’altro, un opposto orientamento ritiene che la società unipersonale, in quanto autonomo centro di interessi, dotato di soggettività giuridica distinta rispetto a quella di chi ne detiene le quote, debba necessariamente annoverarsi tra i destinatari delle richiamate disposizioni normative (Cassazione 49056/2017).

Sulla questione è di recente intervenuta, in sede cautelare, la Cassazione (n. 45100/2021) in un caso di corruzione propria attribuita al soggetto apicale di talune società unipersonali.

La Suprema Corte, nell’affermare che il “sistema 231” è senz’altro applicabile alle srl unipersonali, ha evidenziato che è il giudice penale a dover vagliare, in concreto, caso per caso, i limiti e le condizioni in presenza delle quali il reato commesso dalla persona fisica sia imputabile all’ente. Ciò al fine di conciliare l’esigenza di evitare violazioni del principio del bis in idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta di evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata costituendo una srl e, al tempo stesso, eviti l’applicazione del Dlgs 231/2001, sostenendo di essere un’impresa individuale.

Questa verifica non è legata tanto a parametri quantitativi (come, ad esempio, le dimensioni dell’impresa o la tipologia della struttura organizzativa della società) quanto, piuttosto, a criteri funzionali, in cui assume rilievo la distinzione fra l’interesse della società e quello della persona fisica del rappresentante. Si tratta, per usare le parole della Suprema Corte, di «una verifica complessa che si snoda attraverso l’accertamento della organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione della impresa, dei rapporti tra socio unico e società, della esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento».

Le srl unipersonali costituiscono, infatti, un genus al cui interno possono rinvenirsi entità giuridiche assai differenti: da quelle complesse, dotate di importanti asset aziendali e controllate da altre società di capitali aventi a loro volta una propria autonoma struttura organizzativa, fino a quelle più semplici, prive di dipendenti, la cui gestione è affidata in via esclusiva ad un socio unico.

Le istruzioni diramate ai reparti del Corpo, coerentemente con gli orientamenti giurisprudenziali da ultimo citati, riflettono l’esigenza che le investigazioni siano funzionali a fornire all’autorità giudiziaria una visione, la più esaustiva possibile, dello stato dell’arte esistente all’interno dell’ente oggetto d’indagine. Conseguentemente, in linea con le previsioni del codice di rito, le unità operative segnalano all’autorità giudiziaria ogni elemento rilevante anche sul piano fattuale, al fine di supportarne, sin dalla fase delle indagini preliminari, le determinazioni di merito.

4 - Assistenza congiunta in giudizio di avvocato e dottore commercialista

Nel caso di predisposizione di assistenza a un cliente in un procedimento presso la commissione tributaria da parte di un avvocato e un dottore commercialista facenti parte del medesimo studio associato con prevalenza di avvocati quale è il corretto comportamento ai fini del rispetto degli adempimenti antiriciclaggio posto che per l’avvocato in base alle previsioni del decreto legislativo 231/2007 l’assistenza nei procedimenti giudiziari costituisce attività esclusa dall’effettuazione dell’adeguata verifica della clientela?

Risposta a cura del Magg. Moca Federico

I dottori commercialisti e gli avvocati rientrano nella categoria dei “professionisti” di cui all’art. 3, comma 4, del Dlgs 231/2007, rispettivamente alle lettere a) e c). In quanto tali, ai sensi dell’art. 18, comma 4, dello stesso decreto, sono esonerati dall’adeguata verifica fino al momento di conferimento dell’incarico, fermi restando gli obblighi di identificazione e limitatamente ai casi in cui esaminano la posizione giuridica del cliente o espletano compiti di difesa o di rappresentanza dello stesso in un procedimento innanzi a un’autorità giudiziaria. Sono altresì esonerati dall’obbligo di segnalazione di operazioni sospette alle condizioni previste dall’art. 35, comma 5, dello stesso decreto.

Rientrano nel perimetro di applicazione delle richiamate norme di esenzione non solo la giurisdizione penale ma tutte le giurisdizioni che ricadono sotto la tutela dell’assistenza legale, così come, peraltro, indicato nella nota interpretativa del Gruppo di azione finanziaria (Gafi) alla raccomandazione n. 23.

Ad ogni modo, sebbene l’assistenza in un procedimento presso la commissione tributaria non rientri nel novero delle attività tipiche di cui all’art. 3, comma 4, lettera c), del Dlgs 231/2007, la prestazione professionale incardinata presso lo studio associato ed effettuata da avvocati e dottori commercialisti deve comunque seguire le disposizioni di cui agli articoli 17 e seguenti dello stesso decreto ed essere valutata sotto il profilo del rischio in concreto rilevato.

Infatti, come evidenziato dal Comitato di sicurezza finanziaria nel parere del 6 dicembre 2018 relativo alle regole tecniche del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili del giugno 2018, deve escludersi «la possibilità di individuare in via automatica e preventiva fattispecie rispetto a cui operano sostanziali presunzioni di assenza di rischio di riciclaggio». Restano ferme le garanzie derivanti dal diritto ad un giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, peraltro ribadite anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 26 giugno 2007 n. C-305/05, ove è stato sottolineato che la collaborazione attiva ai fini antiriciclaggio è limitata alle sole informazioni non direttamente pertinenti l’attività di difesa.

In conclusione, nel caso di specie, le norme vigenti impongono di procedere all’identificazione del cliente e alla sua adeguata verifica al momento del conferimento dell’incarico, non sussistendo l’obbligo di segnalazione per le informazioni correlate all’espletamento dei compiti di difesa.

5 - Nomina Ctp da parte di un avvocato di un dottore commercialista

Il Consulente Tecnico di Parte nominato da un avvocato è esonerato dagli obblighi antiriciclaggio poiché gli stessi restano nelle responsabilità dell’avvocato che lo ha nominato?

Risposta a cura del Magg. Moca Federico

Secondo il parere reso nel mese di giugno 2006 dall’allora Ufficio italiano cambi, l’attività svolta dal consulente tecnico a seguito di un incarico dell’autorità giudiziaria (ad es., curatore fallimentare o consulente tecnico d’ufficio) era esclusa dall’applicazione delle disposizioni antiriciclaggio non ravvisandosi nella fattispecie né la nozione di cliente né quella di prestazione professionale.

Tuttavia, successivamente, le regole tecniche del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili del gennaio 2019, nel caso di incarichi derivanti da nomine giudiziali, hanno previsto quale regola di condotta ai fini dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica l’acquisizione e la conservazione di copia della nomina da parte dell’autorità giudiziaria, così considerandosi assolti gli obblighi di cui agli artt. 17 e seguenti del Dlgs 231/2007.

Analogamente, il Consulente tecnico di parte (Ctp) nell’attività professionale svolta in un procedimento giudiziario non è esonerato dagli obblighi antiriciclaggio. Pertanto, ai fini dell’adeguata verifica, il Ctp deve acquisire e conservare copia della nomina dell’avvocato contenente l’oggetto dell’incarico mentre, alla luce dello svolgimento “dei compiti di difesa” di cui all’art. 35, comma 5, del decreto antiriciclaggio, è esentato dall’obbligo di segnalazione di operazioni sospette per le sole informazioni direttamente pertinenti a tale attività.

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