Il CommentoDiritto

Reati fallimentari estesi al cram down per contrastare la bancarotta fraudolenta

di Roberto Fontana

Sul Sole 24 Ore del 14 settembre scorso un articolo di Giulio Andreani ha posto in luce la particolare importanza nel decreto legge 118/2021 della modifica dell’articolo 236 della legge fallimentare che estende i reati fallimentari alle ipotesi di accordo di ristrutturazione omologato in mancanza dell’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti di previdenza se la proposta risulta conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

In effetti il Governo ha così posto rimedio all’enorme falla aperta nel sistema a seguito dell’anticipazione nel novembre 2020, con emendamento in sede di conversione del Dl 125/2020, di tale ipotesi di cram down , prevista dall’articolo 48 del Codice della Crisi, senza il contrappeso penalistico previsto dall’articolo 341 dello stesso Codice.

Per comprendere i termini del problema occorre tenere presente che:

l’articolo 236 della legge fallimentare ha assunto grande rilevanza dopo la riforma della legge fallimentare del 2006 che, ammettendo il concordato preventivo a prescindere da valutazioni di meritevolezza e requisiti di soddisfacimento dei creditori, consente di accedere a tale procedura anche laddove emergano gravi condotte di bancarotta fraudolenta;

nel 2015 il legislatore ha esteso i reati fallimentari agli accordi di ristrutturazione che ai sensi dell’articolo 182 septies, in deroga alla regola generale dell’articolo 1372 del Codice civile e analogamente al concordato preventivo, producono i propri effetti anche nei confronti dei creditori non aderenti;

nel Codice della crisi i reati fallimentari, per identità di ratio, sono stati estesi agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e a quelli basati sulla falcidia dei debiti erariali e previdenziali senza l’adesione degli enti titolari.

Per un quadro completo occorre inoltre considerare che oggi le condotte di bancarotta sono poste in essere prevalentemente in danno dell’Erario e degli enti previdenziali: gran parte dei fallimenti riguardano società costituite, in successione, per operare per un breve periodo sulla base della sistematica omissione del pagamento di qualsiasi tributo o contributo previdenziale normalmente con l’interposizione di consorzi rispetto ai beneficiari delle prestazioni e società utilizzate per frodi carosello o comunque per l’emissione di false fatture ai fini della sottrazione dell’Iva o della creazione di crediti d’imposta da opporre in compensazione in relazione anche ai debiti previdenziali.

Questo è attualmente, sia per il numero di fallimenti sia per l’entità dei passivi, il baricentro nella fenomenologia delle bancarotte fraudolente. La stragrande maggioranza dei crediti erariali e previdenziali insinuati nei fallimenti (ammontanti secondo i dati ufficiali a 170 miliardi di euro con recupero medio del 1,5%) riguarda questi dissesti dolosamente preordinati che sono aumentati in modo esponenziale in ragione delle sempre maggiore esternalizzazione, soprattutto in determinati settori (non solo la logistica ed anche di produzione di beni) di segmenti anche centrali della normale attività aziendale dei committenti .

Ma l’eliminazione in radice nell’operatività di queste società di ogni costo erariale e previdenziale ha un impatto grave anche sul sistema delle imprese spingendo fuori dal mercato quelle che operano correttamente. Decisivo risulta sul piano della risposta penalistica (oltre che per il rigore sanzionatorio anche per l’incisività degli strumenti d’indagine utilizzabili anche distanza di molto tempo dalle condotte delittuose e decisivi per individuare i reali autori superando lo schermo dei formali amministratori cosiddette teste di legno) l’applicazione dei reati di cagionamento doloso o per effetto di operazioni dolose del dissesto della società ai sensi dell’articolo 223 comma 2, n.2 della legge fallimentare (che sussistono anche in assenza di condotte distrattive)

L’entrata in vigore della norma sul cram down senza il contrappeso penale dell’estensione dell’articolo 236, in presenza di società prive di qualsiasi attivo, aveva reso possibile la neutralizzazione in radice della risposta penale più efficace semplicemente proponendo all’agenzia delle Entrate o all’ente previdenziale il pagamento di una frazione minima del debito dovendo in ogni caso il tribunale , secondo la giurisprudenza allo stato prevalente, procedere all’omologazione anche a fronte del rigetto da parte dell’ente della domanda di adesione.