Imposte

Servizio mensa, con i ticket la gestione Iva si sdoppia

Servizio diretto o appalto per i pasti ai dipendenti hanno l’aliquota al 4%. I «buoni» fanno emergere due rapporti con vantaggi fiscali non giustificati

di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Gestione diretta della mensa per i dipendenti, appalto del servizio, ticket restaurant, convenzioni con bar e ristoranti. Inquadrare correttamente gli adempimenti ai fini Iva (senza contare le implicazioni reddituali) non è semplice. Complice una disciplina che, interpretata enfatizzando il profilo giuridico dei rapporti a discapito della sostanza economica, è idonea a provocare distorsioni fiscali.

La gestione diretta o in appalto

La situazione più lineare è quella della gestione diretta o in appalto. La somministrazione a pagamento dei pasti ai dipendenti sconta l’Iva al 4% (n. 37, tabella A, parte II, allegata al Dpr 633/72) anche quando il servizio è affidato a un terzo (gestore) o è eseguito da un pubblico esercizio che si convenziona con il datore di lavoro, il quale può detrarre l’imposta addebitata da tali fornitori.

Servizio tramite i ticket

Le cose si complicano se il servizio mensa è offerto mediante l’attribuzione ai dipendenti di ticket restaurant, in formato cartaceo o elettronico. La somministrazione, in questi casi, è “intermediata” dall’emittente di tali titoli che stipula un accordo con il datore di lavoro in base al quale i buoni pasto saranno accettati in pagamento presso mense o esercizi a loro volta convenzionati con l’emittente. Come messo in luce dalla risoluzione 75/E/2020, vengono qui in rilievo due distinti rapporti:

- quello fra l’emittente dei buoni pasto e il datore di lavoro;

- quello fra la mensa o il pubblico esercizio e l’emittente.

Il primo rapporto si sostanzia in un servizio sostitutivo di mensa erogato dall’emittente del ticket. Ancorché materialmente resa dalla mensa (o dal ristorante), si considera che la somministrazione del pasto sia fornita da chi ha emesso il buono. Tale soggetto applicherà quindi l’Iva al 4% al prezzo del servizio pattuito con il datore di lavoro, a prescindere dal fatto che «tale prezzo sia pari, inferiore o superiore al valore facciale» del buono.

Nel rapporto fra emittente e mensa/ristorante, rileva invece la prestazione cui tale ultimo soggetto si obbliga nei confronti dell’emittente dei ticket e che, pur consistendo effettivamente nella somministrazione del pasto al dipendente, sconta l’Iva al 10% (n. 121, tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/72). La base imponibile della fattura emessa dalla mensa si determina decurtando il valore nominale del buono della percentuale di sconto pattuita fra le parti e scorporando poi da tale importo l’imposta alla predetta aliquota.

Sia l’imposta (al 4%) applicata dall’emittente dei buoni pasto sia quella (al 10%) addebitata dalla mensa è detraibile dal relativo committente (datore di lavoro o emittente dei ticket); il che evidenzia gli effetti distonici che conseguono all’enfatizzata autonomia dei rapporti fra i vari operatori.

Ipotizzando che il servizio sia fatturato per un corrispettivo di 100, Iva compresa, tanto dal ristorante/mensa all’emittente dei buoni, quanto da quest’ultimo al datore di lavoro, emerge un vantaggio tutto fiscale per l’emittente. Tale soggetto può infatti acquistare la prestazione dal pubblico esercizio/mensa al costo di 90,90 (detraendo Iva al 10% di 9,10) e “rivendere” la medesima prestazione al datore di lavoro fatturando un imponibile di 96,15 (oltre Iva al 4%), spuntando così un differenziale di 5,25 che non pare giustificato sul piano economico. Tanto più se si considera l’unicità del servizio e il fatto che il consumatore finale è pur sempre il lavoratore.

Come messo in evidenza dalla risposta a interpello 231/2022, inoltre, l’impostazione illustrata determina ulteriori complicazioni nelle situazioni in cui il dipendente (come spesso accade) paga il pasto parte in contanti (o con mezzi equivalenti) e parte con ticket restaurant. La mensa/esercente in questi casi è costretta a “spezzare” l’operazione, scorporando l’Iva al 4% dalla quota di corrispettivo pagata dal dipendente e quella al 10% dalla quota che sarà pagata dalla società emittente del buono pasto.

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