Diritto

Crisi d’impresa, si paga anche la disciplina confusa

Confindustria e commercialisti sui nodi della disciplina in arrivo. Non convincono le norme sui segnali di allarme, anche il penale da rivedere

di Giovanni Negri

In termini di sistema, necessità di maggiore ordine e chiarezza sul versante civilistico e, su quello penale, di più attenzione al rispetto della business judgement rule. Nel dettaglio, perplessità sul ruolo dei creditori pubblici qualificati, dubbi sulla dimensione delle imprese interessate dalla disciplina di coinvolgimento dei sindacati, incertezza sull’indispensabilità del piano di ristrutturazione omologato, opportunità di revisione della domanda con riserva con riferimento ad alcuni istituti.

Confindustria e Consiglio nazionale dei dottori commercialisti intervengono in un documento comune sulle ultime misure , approvate o in via di redazione, in materia di crisi d’impresa, in particolare sul decreto legislativo di recepimento della Direttiva Insolvency e sulla riforma del penale fallimentare. Quanto al recepimento della disciplina comunitaria, «è opportuno rendere il quadro di riferimento più intellegibile per tutti i soggetti a vario titolo coinvolti - debitori, creditori, professionisti e magistrati. Infatti, il succedersi di provvedimenti, cambiamenti e integrazioni senza una meditata visione di insieme sta generando un diffuso disorientamento e rischia di non centrare gli obiettivi di semplificazione degli istituti e di valorizzazione dell'autonomia privata a cui la Direttiva mira».

A non convincere sono poi gli importi individuati per i segnali d’allarme dei creditori pubblici qualificati: appaiono infatti troppo ridotti , soprattutto per quanto riguarda l’Iva, e andrebbero elevati, tenendo conto piuttosto della dimensione aziendale. Contrarietà anche per l’inserimento dell’Inail, con un’esposizione debitoria per mancato pagamento dei premi che dovrebbe, si propone, rilevare solo a partire dall’entrata in vigore del decreto.

Quanto al coinvolgimento dei sindacati, il documento sostiene l’incomprensibilità della decisione di fissare un’asticella molto bassa, le imprese con almeno 15 dipendenti, quando la lettura della Direttiva autorizza invece un limite più elevato, di 50 dipendenti.

Puntigliosamente poi il documento elenca l’ormai ampio corredo di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, (piano attestato di risanamento, anche rafforzato; accordi di ristrutturazione, dei debiti, agevolati, a efficacia estesa; convenzione di moratoria; concordato preventivo liquidatorio, liquidatorio semplificato come esito della composizione negoziata, in continuità) per chiedere un po’ retoricamente se si sentiva il bisogno anche dell’introduzione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (Pro).

Dove la domanda con riserva seguita da Pro rischia di sovrapporsi e mettersi in concorrenza con la composizione negoziata della crisi. In questo senso allora, la proposta è che al piano di ristrutturazione non si possa più accedere attraverso domanda con riserva, ma solo come esito della composizione negoziata.

Sulla riscrittura delle norme penali fallimentari, la realtà evidenziata dal documento è quella di ampi margini di discrezionalità, nello scenario delineato dal nuovo articolo 2086 del Codice civile sugli assetti organizzativi, di cui l’imprenditore può disporre per intercettare per tempo la crisi, accompagnati però da una maggiore incertezza sulla sindacabilità ex post da parte dell’autorità giudiziaria delle scelte fatte quando non hanno permesso il superamento della crisi.

Centrale in questa prospettiva il tema del l’individuazione del momento dal quale i segnali di allarme iniziano a potere avere rilevanza penale: il superamento degli indici della crisi previsti dal Codice, infatti, ha contribuito ad allargare l’area di discrezionalità anche nell’individuazione di questo limite.

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