Controlli e liti

Sul monitoraggio nel quadro RW pesa il precedente spagnolo

La Corte Ue ha bocciato una normativa iberica simile a quella italiana

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Il principio di proporzionalità non si “coniuga”, evidentemente, soltanto in termini sanzionatori: esso impone la congruità del mezzo al fine, cioè la realizzazione ai fini unionali e interni con il minor sacrificio degli interessi contrapposti. L’interesse finanziario dello Stato deve arrecare il minimo danno possibile agli interessi dei contribuenti. In quest’ottica occorre verificare se tutto ciò che ruota attorno all’adempimento del quadro RW italiano risulta conforme al principio di proporzionalità.

A tale riguardo, va ricordata la denuncia 14 del 2019 dell’Aidc che ha messo in luce come gli obblighi nazionali di monitoraggio delle attività detenute all’estero confliggono sia con il principio di libertà dei movimenti di capitale sia con quello di proporzionalità. Con riferimento a quest’ultimo, è stato rilevato come la normativa italiana imponga adempimenti e sanzioni che eccedono quanto indispensabile per garantire la tutela degli interessi erariali. In particolare, è stato osservato come l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali non risulta giustificata quando esistono con l’altro Stato – specie quando si tratta di un Paese Ue – efficaci sistemi di scambio d’informazioni.

Sui termini della questione va segnalata anche la recente sentenza del 27 gennaio 2022, C-788/2019, con la quale la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa nazionale spagnola che obbliga i soggetti fiscalmente residenti in Spagna a dichiarare i loro beni o i loro diritti situati all’estero è contraria al diritto dell’Unione in quanto non conforme al principio di proporzionalità e a quello della libera circolazione dei capitali.

Relativamente al principio di proporzionalità, la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa spagnola non risulta conforme, considerato che eccede quanto necessario sia in relazione ai termini di prescrizione che alla misura della penalità proporzionale nonché con riguardo alle previste sanzioni forfettarie, il cui importo non è commisurato alle penalità previste per infrazioni simili. In particolare, la Corte ha evidenziato come non rispetti il principio di proporzionalità la presunzione spagnola che stabilisce che si considerano plusvalenze patrimoniali non dichiarate le somme corrispondenti al valore dei beni non indicate nel “modello 720” (dichiarazione spagnola che prevede la comunicazione dei conti ubicati all’estero nonché di immobili, titoli, beni, titoli o diritti rappresentativi del capitale sociale, fondi propri o beni di qualsiasi tipo di entità, assicurazioni, depositati o ubicati all’estero).

Parimenti non rispettosa del principio di proporzionalità è stata ritenuta la sanzione spagnola del 150% (determinata sull’imposta calcolata sulle somme detenute all’estero), considerata molto elevata, che sommandosi ad altra di carattere forfettario, viene ritenuta che arrechi un pregiudizio sproporzionato alla libera circolazione dei capitali. Lo stesso viene stabilito per le sanzioni formali di carattere forfettario, il cui importo non risulta commisurato alle penalità previste per infrazioni simili nel contesto nazionale spagnolo.

Va notato che la normativa spagnola risulta molto prossima a quella italiana del Dl 167/1990 e a quella prevista dall’articolo 12 del Dl 78/2009.

Sicché è da condividere la tesi che le disposizioni italiane sul monitoraggio fiscale, oltre che le conseguenze previste nel caso di violazione degli obblighi di monitoraggio in relazione alle attività detenute nei Paesi “black list”, risultino in contrasto con il principio di proporzionalità. Quanto alle attività detenute nei Paesi “black list”, occorre rilevare che, oltre alla sanzione dal 6 al 30% delle attività non dichiarate, la normativa dispone la presunzione (difficilmente contrastabile) in base alla quale tali attività si ritengono costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia (articolo 12 del Dl 78/2009). Presunzione per la quale i termini decadenziali di accertamento vengono raddoppiati (per l’infedeltà dichiarativa si arriva dunque al 31 dicembre del decimo anno successivo); così come raddoppiate risultano le sanzioni ordinariamente applicabili dell’articolo 1 del Dlgs 471/1997 (sempre per l’infedeltà, la sanzione risulta quindi dal 180 al 360% della maggiore imposta).

Si tratta di misure che non appaiono giustificate, che sembrano eccedere quanto necessario per garantire l’efficacia dei controlli fiscali e per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale.

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