Contabilità

Rivalutazione, il limite massimo riduce i fondi ammortamento

Il costo storico rivalutato non può essere superiore al valore di sostituzione

In questo periodo il tema della rivalutazione dei beni e delle partecipazioni prevista dall’articolo 110 del Dl 104/2020 è decisamente di attualità, e molti si stanno confrontando con l’applicazione operativa dei concetti di base.

La tecnica di rivalutazione è senza dubbio uno degli argomenti di maggiore discussione al riguardo, poiché l’adozione di uno dei tre criteri di riferimento (aumento del costo storico, aumento contemporaneo del costo storico e del fondo, riduzione del fondo ammortamento), ovvero di una miscela di questi, porta a importanti conseguenze, tanto in termini di variazione della vita utile residua, che di ottimizzazione del profilo fiscale in termini temporali.

In questo contesto, non va neppure dimenticato l’importante principio relativo all’importo massimo della rivalutazione, che ha un connotato contabile diverso da quello di natura fiscale.

Dal punto di vista civilistico-contabile, infatti, analizzando il documento interpretativo Oic n. 7 del 31 marzo 2021 si nota che per individuare il limite massimo della rivalutazione si può utilizzare sia il criterio del valore d’uso sia quello del valore di mercato. Senza entrare nel merito delle singole definizioni, si nota, quindi, che sotto il profilo civilistico il punto di arrivo è comunque sempre il valore netto del bene, nel senso della differenza tra il costo storico e il relativo fondo di ammortamento. Del resto, la rappresentazione in bilancio è sempre del valore netto, quindi, dal punto di vista strettamente contabile, poco o nulla rileva se tale valore, ad esempio di 100, derivi da una differenza tra un costo storico rivalutato di 1.000 e un fondo ammortamento (altrettanto rivalutato) di 900, ovvero di un costo di 120 e un fondo ammortamento di 20. Importante, e anzi imprescindibile, è che quel 100 non sia superiore al valore d’uso o al valore di mercato, spesso individuato da una perizia.

Il profilo fiscale è invece più complesso, perché aggiunge a questo principio una seconda esigenza, dettata, evidentemente, dalla volontà di evitare che l’importo su cui l’impresa calcolerà i futuri ammortamenti “lieviti” in maniera poco ortodossa. La circolare n. 14/E/2017, riprendendo un concetto già espresso in passato (fin dalla circolare n. 18/E/06), ricorda che «resta inteso che la rivalutazione effettuata secondo le modalità sub 1) e sub 2) non potrà mai portare il costo rivalutato del bene ad un valore superiore a quello di sostituzione», intendendo con quest’ultimo valore quello «di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia, oppure il valore attuale del bene incrementato dei costi di ripristino della sua originaria funzionalità».

Si noti l’importanza del passaggio: si parla di costo storico rivalutato (e non di valore del bene al netto del relativo fondo), e infatti si fa riferimento a due soli metodi di rivalutazione (il primo, vale a dire l’incremento di costo storico e di fondo ammortamento, e il secondo, di incremento del solo costo storico), non indagando sul terzo metodo (quello di riduzione del fondo ammortamento), che infatti non “tocca” il costo storico. L’Agenzia, quindi, lascia in apparenza mano libera dal punto di vista tecnico contabile, ma segnala che non può accettare criteri che portino il costo storico rivalutato a importi superiori a quello di sostituzione.

Questa considerazione è tutt’altro che priva di conseguenze, ove si consideri che oggetto delle rivalutazioni sono in larga parte immobili per i quali, molto probabilmente, i «valori di sostituzione» sono assai spesso poco superiori ai valori «lordo fondo» iscritti in contabilità. Anche gli impianti di produzione, in genere, non subiscono importanti oscillazioni di valore nel tempo, poiché i miglioramenti si registrano spesso a livello di efficienza produttiva.

La logica conseguenza è che sarà frequente, in questo frangente, l’adozione “obbligata” (almeno parziale) del criterio di riduzione del fondo ammortamento, ossia l’unico che non rivede al rialzo il costo storico, e che quindi permette, in un mercato dove i valori degli assets assai raramente si sono incrementati nel corso di questi anni, di rispettare il principio fiscale espresso dalla prassi delle Entrate.

Rimane ovviamente valida la “bontà” della rivalutazione, ma per chi è alla ricerca di maggiori ammortamenti “da subito”, con il chiaro intento di ridurre l’imponibile fiscale, il risultato potrebbe essere deludente, come dimostrano gli esempi riportati nella scheda in alto.

I casi e le soluzioni

Esempio 1

Al fa srl detiene un immobile iscritto a 4 mln di euro, ammortizzato per 3 mln, valore netto 1 mln.

Supponiamo che il costo di sostituzione sia pari a 4 mln di euro (sostanziale stabilità del mercato immobiliare). In questo caso, dal punto di vista contabile si potrebbe anche ipotizzare un aumento del costo storico a 7 mln, senza venire meno a quanto previsto dall'OIC (7-3=4), ma dal punto di vista fiscale l'unico modo per procedere alla rivalutazione è azzerare il fondo ammortamento (l'agenzia delle Entrate, in sede di verifica, potrebbe infatti non considerare deducibili i maggiori ammortamenti calcolati su 7 mln, riconoscendo solo quelli calcolati su 4 mln)

Esempio 2

Beta spa ha impianti del valore storico di 1.000, acquistati 9 anni fa e ammortizzati per 900.

Supponiamo che il valore di sostituzione sia pari a 800, perché negli anni l'evoluzione nel settore ha fatto sì che la tecnologia di questi impianti è in parte superata.

La rivalutazione, nel rispetto del dettato fiscale, passa da una riduzione del fondo ammortamento a 200, perché il costo storico rivalutato sarebbe comunque limitato a 800 (si ritiene comunque di poter mantenere il costo originario di 1.000, ma non di poterlo ulteriormente incrementare)

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