Imposte

Sulla web tax necessarie scelte concertate a livello Ocse

di Guglielmo Maisto

La consultazione pubblica dell’Ocse sulla tassazione della digitalized economy (tenuta non casualmente a Berkeley nella Silicon Valley) ripropone il confronto tra istituzioni e business community finalizzato all’individuazione di adeguate soluzioni normative. Il tema è di grande attualità in Italia anche in considerazione della possibile introduzione di misure ad hoc con un emendamento alla legge di bilancio.

Nel pacchetto delle 15 iniziative avviate dall’Ocse nel 2013 e concluse nel 2015 su impulso del G20 per contrastare l’erosione fiscale, quella relativa all’economia digitale (Action 1) è infatti l’unica inevasa. Ancora si discute non solo come ma anche dove tassare le attività legate al web. Il tema peraltro non riguarda solo le imprese digitali, ma più in generale tutti i settori economici caratterizzati da una crescente digitalizzazione. Nelle proposte illustrate dall’Ocse nello specifico rapporto del 2015 si spazia da forme di tassazione alla fonte sostitutiva delle imposte sul reddito all’estensione del perimetro di tassazione ordinaria del reddito nello stato di sbocco (mediante riformulazione della nozione di stabile organizzazione) o a forme di imposizione indiretta. Un nuovo rapporto sarà pubblicato dall’Ocse ad aprile 2018 mentre le raccomandazioni finali sono attese per il 2020. Tutte le opzioni sono ancora aperte. Nel frattempo alcuni Stati si sono mossi e hanno introdotto misure legislative in larga parte riconducibili all’imposizione indiretta.

Ma è proprio necessario introdurre nuovi modelli applicabili solo all’economia digitalizzata? Una soluzione potrebbe forse essere trovata nelle regole generali di misurazione del reddito e di allocazione tra Stati che si sono nel tempo adattate a nuovi modelli organizzativi delle attività d’impresa variamente interpretando e applicando i principi generali ai particolarismi di specifici settori dell’economia (così ad esempio per le raccomandazioni Ocse in materia di determinazione del reddito delle stabili organizzazioni nel settore bancario).

Se la spinta per nuove regole muove dall’esigenza di evitare forme di doppia non imposizione (il reddito non è tassato in nessuno Stato) sarebbe sufficiente rivedere le regole di tassazione dei redditi delle società controllate estere (Cfc) nei Paesi di residenza delle capogruppo. Su questo tema l’Ocse (con la raccomandazione Beps 3) e la Ue (con la direttiva Atad 1) hanno già preso posizione e le misure proposte (obbligatoria solo quella Ue) seppure rivolte alla generalità delle imprese sarebbero idonee a evitare salti d’imposta transnazionali. Se invece le ragioni del cambiamento sono da ascrivere all’esigenza di una puntuale individuazione del reddito imponibile nello Stato di sbocco, la misura potrebbe risiedere in una più efficace misurazione delle regole di transfer price valorizzando diversamente le funzioni svolte nello Stato di produzione del reddito. Si tratterebbe di sviluppare le raccomandazioni Ocse (n. 8 e 10 relative al progetto Beps) che fissano principi generali sulla creazione del valore.

Quest’ultima enfasi potrebbe peraltro ritorcersi contro gli Stati Ocse posto che lo stesso principio di una maggiore valorizzazione del mercato di destinazione e dei consumatori potrebbe essere fatto valere nei paesi emergenti nei confronti di comparti diversi. Il cantiere è ancora aperto e si impone una scelta concertata, perché ora una misura legislativa isolata è da ritenersi inopportuna.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©