Diritto

I produttori responsabili dei beni diventati rifiuto

La responsabilità estesa fulcro delle politiche Ue per la sostenibilità e la circolarità economica. Il consumatore pagherà un contributo di ritiro e di smaltimento

di Paola Ficco

La responsabilità estesa del produttore del prodotto dal cui utilizzo si generano rifiuti (Extended Producer Responsibility - Epr) rappresenta il fulcro delle politiche europee di circolarità della materia, e quindi dell’economia, adottate con la “Strategia Junker” del 2015, filtrate dalla direttiva 2018/851/Ue (su rifiuti, imballaggi e relativi rifiuti, attuata con il Dlgs 116/2020 a modifica del Dlgs 152/2006) e poi riviste con il Piano d'azione Ue dell’11 marzo 2020.

L’obiettivo è affrontare le esternalità negative della produzione (si veda IlSole24Ore dell'11 marzo 2022) perché lo sviluppo dell’economia circolare è lo strumento per rilanciare il modello produttivo europeo.

Sulla scorta di questa base ideale e giuridica, il riciclo ha perso il suo carattere solo ecologico e ha trovato la sua vocazione industriale. Diversamente, la crescita economica non potrebbe essere dissociate dall’uso delle risorse e conseguire la neutralità climatica entro il 2050 (Regolamento Ue 2021/1119). L’estensione dell’economia circolare ai produttori del prodotto (cioè a operatori economici tradizionali) avviene proprio sottoponendo costoro ai regimi Epr.

Così la strada ritorna dove inizia perché gli obiettivi di economia circolare europei tendono a prolungare la vita dei prodotti facendoli durare di più (riutilizzo) o restituendoli a nuova vita (riparazione). Il che limita la formazione dei rifiuti.

Quando però i rifiuti si formano interviene il principio dell’Epr (articoli 178-bis, 178-ter e 237, Dlgs 152/2006) che attribuisce al produttore del prodotto la responsabilità finanziaria e/o gestionale di questa fase critica del ciclo di vita del prodotto realizzando raccolta, trasporto, riciclo/smaltimento, report e comunicazione, mediante i Sistemi di gestione, individuali o collettivi, anche autonomi.

Pertanto, i produttori del prodotto, organizzati nei vari sistemi di gestione, determinano il contributo ambientale per assicurare la copertura dei costi di gestione dei rifiuti. Infatti, costoro, dopo aver venduto il prodotto, dovranno organizzarsi per il suo ritiro quando l’acquirente, decidendo di disfarsene, lo farà diventare un rifiuto.

Sul punto, la pervasiva definizione di “rifiuto” (articolo 183, comma 1, lett. a, Dlgs 152/2006) genererà più di un imbarazzo interpretativo e applicativo della disciplina, perché distinguere con esattezza tra “non rifiuti” e rifiuti” è sempre complesso e pericoloso.

I regimi Epr, realizzati mediante i sistemi di gestione individuali o collettivi, sono finanziati dal produttore del prodotto. Ma il produttore come si finanzia? Risponde l'articolo 237, comma 4, Dlgs 152/2006 con la previsione del contributo ambientale il quale è applicato al prodotto, determinato dai suoi produttori, approvato dal Ministero per la transizione ecologica e pagato da chi usa il prodotto quando lo acquista. Poiché l’avanzo di gestione proveniente dal contributo ambientale è «anticipazione per l’esercizio successivo» il che «determina la riduzione del suo importo nel primo esercizio successivo» (articolo 237, comma 6, lett. f), è evidente che più è efficiente l’organizzazione della filiera di gestione del rifiuto e meno il contributo sarà elevato.

Per informare il consumatore del pagamento dell’eco-contributo il mezzo migliore risiede nell’esporlo in fattura o scontrino.

Avuta questa informazione, il consumatore potrebbe legittimamente chiedersi se la gestione del rifiuto che il consumo del bene acquistato produrrà viene pagata due volte: con l’eco-contributo e con la tariffa sui rifiuti.

Un rischio reale che va evitato. Come? Quando la raccolta è svolta da un soggetto pubblico che la finanzia con la tariffa sui rifiuti, al ricevimento dell’eco-contributo dovrebbero conseguire un abbattimento di tale tariffa e opportuna informativa agli utenti.

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