Controlli e liti

Affitti brevi e piattaforme online, legittimo l’obbligo di trasmettere i dati

Per la Corte di Giustizia Ue una legge può obbligare un portale a comunicare informazioni all’amministrazione finanziaria

Una legge nazionale può obbligare gli intermediari di servizi immobiliari a conservare i dati sulle transazioni turistiche e a trasmetterli all’amministrazione finanziaria. Il principio è stato affermato dalla Corte di Giustizia Ue (causa C-674/20). Una vertenza che parte dal Belgio e vede coinvolta Airbnb Ireland, ma che non tocca il fronte delle ritenute sugli affitti brevi, ormai oggetto di una controversia lunghissima tra i giudici comunitari e il portale online.

Il caso belga

In questo caso tutto parte da un obbligo previsto da una legge della Regione di Bruxelles: Airbnb è stata invitata a comunicare all’autorità tributaria regionale alcune informazioni relative alle transazioni turistiche. Questo obbligo, secondo il portale, contrastava con il diritto Ue e, nello specifico, con il principio della libera prestazione di servizi. Per questo, la vicenda è finita davanti alla Corte costituzionale belga, che a sua volta ha girato il problema ai giudici lussemburghesi.

A loro sono stati avanzati due quesiti: se la norma belga «costituisca una disposizione fiscale», espressamente esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva sul Commercio elettronico (direttiva 2000/31/Ce); se, in secondo luogo, questo obbligo possa ostacolare la libera circolazione dei servizi.

Le risposte della Corte Ue

Sul primo punto, per la Corte Ue, anche se i servizi di intermediazione immobiliare come quelli forniti dalla Airbnb rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico, la legge regionale in questione ricade nel settore tributario.

Sul secondo, invece, l’obbligo di fornire dati sulle transazioni delle strutture turistiche riguarda tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal luogo in cui tali prestatori sono stabiliti e dal modo in cui essi prestano detti servizi.

La Corte ne deduce che la disposizione della legge belga non è discriminatoria perché obbliga tutti gli intermediari, indipendentemente da dove si trovino e dalla modalità con la quale prestino i loro servizi. Il maggiore impatto su Airbnb dipende esclusivamente dal numero di transazioni che passano dal portale. La questione torna, così, al giudice nazionale.

La vicenda italiana

La decisione sulla normativa belga arriva mentre la Corte di giustizia Ue è impegnata ad affrontare la vertenza “italiana” di Airbnb. I giudici europei, in particolare, sono chiamati a valutare la compatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale (il Dl 50/2017, articolo 4) che impone, tra l’altro, ai portali di effettuare una ritenuta fiscale del 21% sulle somme incassate dai locatori.

Giovedì 28 aprile è in calendario un’udienza nel corso della quale la società depositerà una memoria. Poi nelle prossime settimane sono attese le conclusioni dell’avvocato generale e, a seguire, la sentenza. La Corte Ue è stata investita della questione nel 2019 dal Consiglio di Stato (ordinanza 6219/2019), cui si era rivolto il portale che gestisce gli affitti brevi. Sotto esame, tra l’altro, c’è la possibile violazione della direttiva sul mercato interno (2006/123/Ce) e di quella sul commercio elettronico (2000/31/Ce).

La posizione di Airbnb

La società, comunque, sottolinea la diversità tra le due vicende. «Abbiamo preso atto della decisione della Corte di Giustizia per il caso belga, che ora verrà rinviato alla Corte costituzionale nazionale perché si pronunci in merito – spiegano da Airbnb Italia –. Il caso belga differisce sensibilmente da quello italiano discusso oggi perché non riguardava aspetti come il sostituto d’imposta o la necessità di nominare un rappresentante fiscale nell’ordinamento. Si tratta di elementi cruciali che riteniamo essere incompatibili con il diritto europeo che regola le piattaforme digitali».

Airbnb ha contestato fin dall’inizio la normativa italiana e – come molti altri portali telematici – non ha mai applicato la ritenuta fiscale, né trasmesso in modo massivo i dati alle Entrate. Di fatto, a quasi cinque anni dal Dl 50, che è in vigore dal 1° giugno 2017, a fare la ritenuta sono soprattutto gli intermediari fisici (agenzie immobiliari in primis).

A livello di dati, ad oggi Airbnb coopera solo sul fronte delle richieste specifiche indirizzate alla sede irlandese in base ai meccanismi di collaborazione fiscale vigenti. Ma bisogna ricordare che dal 2023 entrerà in vigore la direttiva Dac 7 (2021/514/Ue) che imporrà ai gestori delle piattaforme di segnalare alle amministrazioni fiscali i dettagli relativi ai soggetti che utilizzano i loro canali per vendere prodotti e servizi.

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