Professione

Salta la norma per l’equo compenso degli avvocati

di Gianni Trovati

Le prove di equo compenso saltano al primo movimento della manovra in Senato, inciampando nelle inammissibilità insieme alla fondazione per la cyber-security, all’assegnazione al Tar Lazio della competenza esclusiva sulle controversie dell’asta 5G e ai fondi per l’associazione dei partigiani cristiani. A far decretare lo stop al presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso, che ha accolto le proposte della commissione, sono i confini rigidi della legge di bilancio, che non ammettono provvedimenti ordinamentali o comunque estranei al terreno proprio della finanza pubblica.

Ma la partita sulla manovra da 20,4 miliardi, 10,9 dei quali finanziati con il deficit “trattato” con la commissione Ue, è solo all’inizio. Ieri sulla proposta governativa sono piovute le critiche dei centristi di Ap, che parlano di «famiglia bistrattata» anche a causa del mancato rifinanziamento del bonus bebè. Dal Pd si apre alla valutazione di proposte alternative, ma è il premier Paolo Gentiloni a rassicurare tutti. «I numeri in Parlamento sono necessari e ci saranno», taglia corto, invitando tutti a «tenere d’occhio l’interesse generale del paese». Al premier ieri è arrivato anche l’appello dei sindaci, che per bocca del presidente Anci Antonio Decaro chiedono di rivedere gli obblighi sui fondi a garanzia delle mancate riscossioni e di assicurare regole certe ai piccoli Comuni. Su queste basi, i Comuni chiedono al Viminale di spostare al 31 marzo il termine per i bilanci preventivi 2018.

Ogni modifica, comunque, dipende dalle compatibilità di un bilancio che al momento non offre spazi aggiuntivi. Il volume della legge di bilancio resta a 20,4 miliardi, e la manovra complessiva si attesta a 21,6 miliardi comprendendo nel calcolo il decreto fiscale, anche se il totale degli interventi messi in moto è da 31,7 miliardi (34,3 con il Dl fiscale). Il valore si calcola infatti in termini di indebitamento netto, e per capire le differenze basta guardare ai fondi per i contratti degli statali: in termini lordi valgono 1,65 miliardi, ma gli aumenti producono più tasse e contributi, e il peso sull’indebitamento si ferma a 850 milioni. La decontribuzione per i giovani si attesta nel 2018 a 381,5 milioni, un po’ più dei 338 previsti all’inizio; la replica del programma «scuole belle» vale 192 milioni, quella della cedolare secca ne costa 126,3.

Sulle norme cadute ieri, lo stralcio potrebbe non segnarne la condanna definitiva, anche perché in parallelo corre il treno del decreto fiscale che, già nato come «omnibus», può crescere ancora a Palazzo Madama. Ieri, allo scadere dei termini, è stato presentato un migliaio di emendamenti, che spaziano dall’obbligo di accompagnamento per gli alunni di elementari e medie (il Pd, con la spinta della ministra Valeria Fedeli, propone l’uscita “libera” se c’è l’autorizzazione scritta dei genitori) al salvataggio dell’azienda dei trasporti di Torino (Stefano Esposito, del Pd, ha presentato un correttivo per dirottare una quota dei fondi di coesione), ma in arrivo potrebbe arrivare un correttivo diverso targato Mise. Sul decreto, però, la polemica monta soprattutto sulla rottamazione-bis: mentre il governo studia l’ipotesi di allargarne il raggio d’azione a tutte le cartelle, da Mdp arriva la richiesta di cancellare «un condono» che per la capogruppo Cecilia Guerra rende «invotabile» il decreto.

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