Controlli e liti

Amazon, contestata evasione di 130 milioni

di Angelo Mincuzzi

Amazon avrebbe evaso 130 milioni di euro di Ires nel periodo 2009-2014 utilizzando una «stabile organizzazione occulta» operante in Italia. Dopo Apple e Google, anche il colosso del commercio elettronico di Seattle finisce nel mirino del Fisco italiano. La Guardia di finanza ha contestato alla multinazionale Usa la presunta evasione fiscale nel “processo verbale di constatazione” trasmesso alla procura di Milano circa un mese fa al termine di una verifica fiscale sulle società italiane di Amazon. Sulla presunta evasione delle imposte è in corso da circa un anno un’inchiesta del sostituto procuratore Adriano Scudieri, che ha iscritto nel registro degli indagati un manager della società lussemburghese di Amazon.

La procedura prevede che il “processo verbale di constatazione” venga trasmesso su autorizzazione della stessa procura all’agenzia delle Entrate, che potrà decidere di avviare un accertamento con adesione nei confronti di Amazon. È la procedura già seguita per Apple (che ha versato 318 milioni di euro nelle casse del Fisco alla fine del 2015) e da Google (il cui accertamento per adesione dovrebbe essere firmato la prossima settimana). La procura di Milano, guidata dal procuratore Francesco Greco, ha avviato da tempo una strategia che punta a far incassare allo Stato italiano le imposte non versate dai giganti del web. Sotto inchiesta a Milano c’è anche Facebook.

Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria della Gdf guidato dal colonnello Vito Giordano hanno ricostruito il meccanismo attraverso il quale i ricavi italiani di Amazon prendevano la strada del Lussemburgo. Il sistema di Amazon è praticamente simile a quello realizzato da Google, con alcune differenze a cominciare dalla destinazione geografica dei ricavi che per Google è l’Irlanda mentre per Amazon è il Lussemburgo. Nell’inchiesta della procura di Milano viene ipotizzato il reato di omessa dichiarazione dei redditi.

In una nota Amazon ha ribadito che la società «paga tutte le imposte che sono dovute in ogni Paese in cui opera. Le imposte sulle società sono basate sugli utili, non sui ricavi, e i nostri utili sono rimasti bassi a seguito degli ingenti investimenti e del fatto che il business retail è altamente competitivo e offre margini bassi. Abbiamo investito in Italia più di 800 milioni di euro dal 2010 e attualmente abbiamo una forza lavoro a tempo indeterminato di oltre 2.000 dipendenti».

La nuova contestazione arriva mentre si riaccende il dibattito sulla web tax. «Una tassa antistorica e controproducente - ha affermato ieri il presidente di Confindustria digitale, Elio Catania, intervenendo al convegno organizzato al Maxxi di Roma per celebrare l’Internet Day -. Sarebbe come fare una fuga in avanti sparandoci sui piedi. Piuttosto iniziamo a creare un’armonia fiscale in Europa». Secondo Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, «ci sono poche chance di approvare una web tax ora, perché la legislatura è finita». Una norma sulla web tax c’era nel 2013 - ha ricordato Boccia - ma «è stata sconfessata da Renzi e Grillo. Non si è andati avanti per lo stop delle due principali leadership».

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