Diritto

Concordato sotto la lente del tribunale anche dopo l’ammissione

Secondo il Tribunale di Rimini può essere rianalizzato e giudicato inammissibile

di Michele D’Apolito

L'impresa in concordato preventivo non sfugge al controllo del Tribunale, anche dopo la presentazione del piano e della proposta e l'ammissione definitiva alla procedura.

Tale controllo può determinare un nuovo e successivo esame della stessa qualificazione giuridica del concordato, della sua coerenza con le leggi vigenti e della completezza dell'attestazione.

Non è quindi precluso che un piano originariamente ammesso, perché formalmente adeguato al dettato normativo, sia successivamente e nuovamente analizzato nel dettaglio e giudicato inammissibile, anche e soprattutto sulla scorta dell'analisi fatta dal commissario giudiziale.

Questo è l'assunto iniziale di un provvedimento del 3 dicembre scorso del Tribunale di Rimini, con il quale è stato revocato il concordato in continuità di una società che gestisce un hotel, caratterizzato da un piano eccepito sotto vari aspetti.

Innanzitutto i giudici hanno osservato che la prevista modalità di prosecuzione dell'attività era stata affidata ad un contratto di management alberghiero, una forma atipica con cui solitamente il manager dà indicazioni strategiche all'imprenditore, venendo remunerato in modo variabile in virtù di tale expertise, rimanendo il rischio di impresa in capo al gestore.

Da un'analisi del contratto, era però emerso che l'imprenditore avrebbe percepito un canone fisso dal manager, vero gestore e responsabile del rischio di impresa, configurandosi così un affitto d'azienda, con l'unico rischio per il locatore di percezione del corrispettivo contrattuale.

La naturale conseguenza di un piano che preveda al suo interno un affitto d'azienda è l'obbligo di una procedura competitiva (articolo 163 bis della legge fallimentare) ma l’ipotesi non era stata contemplata e questo rendeva la proposta ed il piano stesso inammissibili.

Il secondo elemento di criticità su cui si sono concentrati i giudici consisteva nella previsione della liquidazione dell'immobile-albergo, a seguito della quale l'impresa debitrice avrebbe stipulato con il futuro aggiudicatario un contratto di locazione, peraltro non definito nelle sue condizioni essenziali.

Nell'esame di tale circostanza, il Tribunale rivede in chiave critica l'assunto della Cassazione (sentenza 734/2020), nel quale si era affermato che l'ipotesi speciale prevista dall'articolo 186-bis – il concordato in continuità, appunto – è consentita in caso di funzionalità di una parte dei beni alla prosecuzione d'impresa, indipendentemente dal fatto che tali beni siano quantitativamente inferiori agli assets non strategici liquidati.

Nel caso in esame, l'asset più funzionale e strategico di tutti – l'immobile che ospita l'attività alberghiera, con parte di arredi infissi e inamovibili – era oggetto di liquidazione, avendo peraltro il ricavato previsto dalla liquidazione un valore superiore a quanto, in base alle stime effettuate, sarebbe stato generato dalla continuità.

Un elemento che, secondo i magistrati romagnoli, faceva sorgere pesanti dubbi sulla continuità (l’impostazione aveva soprattutto il profilo di un concordato liquidatorio) e introduceva un ulteriore elemento di inammissibilità, visto che le percentuali offerte ai chirografari non raggiungevano il 20% minimo previsto per legge.

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