Controlli e liti

Il Codice ora punta sul risk governance

di Massimo Talone

L’entrata in vigore, ormai imminente, del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge delega 2017 n. 155, comporterà un cambiamento epocale nella gestione delle imprese non quotate, ma interesserà anche le quotate. Ricadute si avranno sia a livello strategico, con una sempre più marcata integrazione tra processi di pianificazione e sistemi integrati di gestione dei rischi d’impresa (enterpriserisk management), sia a livello operativo, controllo e monitoraggio ex ante della situazione economico-finanziaria.

Soprattutto le non quotate di piccola e media dimensione dovranno rapidamente acquisire una cultura del rischio e una capacità di valutazione forward-looking sugli impatti delle loro scelte strategiche e operative, in particolare sulle politiche d’investimento e finanziamento.

Il decreto che disciplina il nuovo Codice all’articolo 2 introduce un preciso obbligo generale (e quindi, valevole per tutte le imprese, quotate o meno, a prescindere dalla dimensione e forma giuridica) che, in premessa, costituisce il presupposto imprescindibile per una gestione sana e soprattutto consapevole dei rischi d’impresa. Il rispetto dell’articolo 2 e del richiamato articolo 2086 del codice civile costituisce il presupposto per una corretta gestione ed assunzione dei rischi d’impresa, di cui l'insolvenza è solo una componente. Al tempo stesso, il suo rispetto costituisce la legittimazione per il trasferimento (parziale) a terzi del rischio d’impresa, sia sotto forma di capitale di rischio (ad esempio, a fondi chiusi ed altri operatori di mercato) che di debito (a banche ed altri intermediari finanziari).

Il citato articolo 2 stabilisce che «l’imprendere individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi (vale a dire procedure di allerta e sistemi di monitoraggio della situazione economico-finanziaria, ndr) ed assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte», cioè azioni di recovery finalizzate a un rapido ripristino delle condizioni di equilibrio economico-finanziario, anche attraverso l’attivazione di uno degli strumenti di risoluzione previsti dallo stesso Codice.

A sua volta, «l’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato (non è sufficiente introdurre procedure di allerta basate sulla mera valutazione di indici finanziari o altri indicatori sintetici del rischio d’insolvenza, ndr) ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative »: dovrà cioè predisporre un protocollo operativo che consenta di monitorare il rischio economico-finanziario secondo un approccio forward-looking, introdurre nel protocollo sistemi di early warning proporzionati alla dimensione e settore merceologico di appartenenza e predisporre procedure di recovery planning da attivare prontamente in caso di crisi d’impresa.

Questa norma è di portata generale e non esclude, come nel caso degli strumenti d’allerta la cui non applicazione è espressamente prevista dal 4° comma dell’art. 12 del decreto «le società con azioni quotate in mercati regolamentati». Queste ultime dovranno, pur nei limiti sopra richiamati, adeguare le loro procedure interne in mancanza di «idonei assetti organizzativi» e, ai sensi del novellato articolo 2086 del codice civile, «istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita di continuità aziendale». Sarà compito degli organi di controllo societario (in primis, del collegio sindacale), pena un aggravio della responsabilità per culpa in vigilando, verificare l’adozione di adeguate procedure interne di early warning e monitoraggio proattivo del rischio d’insolvenza, in coerenza e rispetto degli obiettivi e vincoli contenuti nel piano aziendale.

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