I temi di NT+Modulo 24

Accertamenti parziali, il corto circuito sul contraddittorio preventivo

L’obbligo non sussiste ma se anche gli uffici procedessero agli inviti non si potrebbe determinare il differimento di 120 giorni

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di Dario Deotto

Risulta che in quest’ultima parte dell’anno sono stati inoltrati parecchi inviti al contraddittorio, con la precipua finalità di fruire del differimento dei termini di 120 giorni stabilito dall’articolo 5 del Dlgs 218/1997.

Occorre infatti ricordare che in base all’articolo 5 del Dlgs 218/1997 viene previsto che se tra la data di comparizione indicata dall’ufficio nell’invito al contraddittorio e il termine di decadenza per l’accertamento intercorrono meno di 90 giorni, il termine di decadenza viene automaticamente prorogato di 120 giorni. Si tratta - come altre volte si è riportato - di un’ingiustificata proroga dei termini decadenziali a favore dell’Amministrazione finanziaria. Ingiustificata perché la proroga non risulta in alcun modo legata alle effettive risposte e osservazioni del contribuente (che determinano l’effettività del contraddittorio), ma al semplice avvio del procedimento (la data di comparizione).

Gli accertamenti parziali

Particolare attenzione va posta con riferimento al rapporto tra la disposizione dell’articolo 5 del Dlgs 218/1997 e gli accertamenti parziali. L’atto di accertamento parziale si caratterizza per la limitatezza del suo contenuto (lo conferma la stessa sua denominazione di «parziale»). Contenuto che porta ad escludere tutte quelle attività di tipo valutativo degli uffici, come hanno stabilito le pronunce della Corte di cassazione nn. 29036/21 e 12854/22: l’attività dell’ufficio deve infatti risultare limitata a ciò che emerge ictu oculi.

Occorre rilevare che la ratio dell’accertamento parziale è risultata - da sempre - quella di consentire all’ufficio di trasfondere elementi che «consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato» (o di corrispettivi Iva non dichiarati). Quella oggetto del parziale, dunque, è sempre risultata un’attività ricognitiva dell’ufficio ridotta nei suoi termini essenziali, limitata agli elementi certi di evasione di cui l’ufficio risulta venuto a conoscenza (ad esempio, il reddito, attribuito per trasparenza, non dichiarato di un socio di una società di persone).

Tuttavia, nel tempo si sono verificate una serie di forzature. La prima fu quella che venne tentata con la circolare 235/E del 1997, con la quale si precisò che anche le risultanze di una verifica generale della Guardia di Finanza (che inequivocabilmente comporta l’effettuazione di un’attività istruttoria approfondita) potevano essere tradotte in un atto di accertamento parziale. Tale interpretazione, però, venne ben presto bocciata dalla prima giurisprudenza di merito.

Così si arrivò a varie modifiche normative - “supportate” probabilmente dall’Amministrazione finanziaria - attraverso le quali è stato stabilito che l’accertamento parziale può essere impiegato per le risultanze di quasi praticamente tutte le attività istruttorie (accessi, ispezioni e verifiche compresi).

Accertamenti parziali e ordinari

Questo stato dell’arte ha portato a ritenere che atti di accertamento ordinari e parziali risultassero, di fatto, strumenti fungibili.

Si è tuttavia sempre sostenuto che a base dell’accertamento parziale vi possono essere soltanto elementi che devono soddisfare i requisiti della prova diretta. Questo principalmente in ragione del fatto che - nonostante le varie modifiche introdotte nel tempo - la norma continua a prevedere che la rettifica parziale può essere eseguita soltanto se «risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato» o di «corrispettivi non dichiarati», da intendersi, sostanzialmente, «elementi certi».

Ed è quello che ha stabilito la Corte di cassazione con le pronunce prima richiamate. La Corte ha rilevato che le attività di tipo valutativo dell’ufficio risultano estranee al parziale.

Tali conclusioni sono particolarmente significative anche sotto il profilo operativo. In primo luogo, si rileva che, di per sé, non si ritiene invalido l’atto che è stato erroneamente identificato come «parziale» in luogo di un atto di accertamento ordinario. Illegittimo risulterà invece l’atto di accertamento successivo al primo, se questo (il primo) è stato erroneamente qualificato come «parziale», qualora l’atto successivo non dovesse tenere conto del limite della successiva azione accertatrice, la quale (per gli accertamenti ordinari) deve fondarsi sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Gli accertamenti parziali e il contraddittorio preventivo

Inoltre, un’importante ripercussione si ha proprio in relazione al contraddittorio preventivo. Per gli atti di accertamento parziali il contradditorio non risulta obbligatorio. Questo comporta, però, che se un atto di accertamento è stato erroneamente qualificato come «parziale» (in luogo di un «ordinario»), l’atto risulta inesorabilmente invalido se non preceduto dal contraddittorio preventivo (fatte salve le altre ipotesi di esclusione stabilite ex lege).

Inoltre, se gli uffici provvederanno, a fronte di un atto di accertamento parziale, ad inviare (comunque) preventivamente un invito al contraddittorio, quest’ultimo non potrà determinare il differimento di 120 giorni stabilito dall’articolo 5 del Dlgs 218/1997, considerata la chiara esclusione ex lege dalla disciplina del contraddittorio preventivo stabilita dall’articolo 5-ter del medesimo Dlgs 218/1997 per gli atti di accertamento parziali.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24