I temi di NT+Modulo 24

Accertamento: sanzioni per crediti inesistenti solo con doppio presupposto

Conta il dato oggettivo e la non rilevabilità con controlli automatizzati. La penalità dal 100 al 200% è spesso applicata a sproposito dal Fisco e dai giudici

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Il distinguo tra i crediti d’imposta non spettanti e quelli inesistenti – ai fini sanzionatori e in relazione ai termini decadenziali di accertamento – ha assunto negli ultimi tempi connotazioni davvero preoccupanti per gli operatori. Ciò per effetto di talune prese di posizione della prassi e della giurisprudenza di legittimità, che non risultano per nulla aderenti al dettato normativo. Con il Principio di interpretazione n. 1/accertamento e riscossione – che qui commentiamo – si vuole pertanto ristabilire la corretta esegesi delle disposizioni di legge.

La revisione del 2015

Innanzitutto, con l’intervento di revisione del sistema sanzionatorio operato attraverso il Dlgs 158/2015 (ed entrato in vigore il 1° gennaio 2016, tralasciando in questa sede l’operatività del principio del favor rei) si è voluto sostanzialmente portare a compimento il percorso iniziato con l'articolo 27 del Dl 185/2008 che, come chiaramente riportato dalla relazione di accompagnamento, intendeva distinguere le attività connotate da intenti fraudolenti dalle altre fattispecie di illecito.

L’articolo 27 citato, ai commi da 16 a 18, ha stabilito che l’avviso di recupero emesso ai fini della contestazione dell’illecito di compensazione di «crediti inesistenti» deve essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito, ed è stata prevista una sanzione dal 100% al 200% dell’ammontare del credito compensato, oltre al fatto che in nessun caso è ammessa la definizione agevolata della penalità, ai sensi degli articoli 16 e 17 del Dlgs 472/1997.

Con il Dlgs 158/2015 la (sola) previsione sanzionatoria è stata fatta confluire, più propriamente, nel contesto della disciplina delle sanzioni tributarie del Dlgs 471/1997, all’articolo 13, comma 5, di tale decreto. Vi si specifica (la norma esordisce con «si intende») che la sanzione correlata alla compensazione di crediti inesistenti (dal 100 al 200% della misura del credito) trovi applicazione qualora: a) manchi in tutto o in parte il presupposto costitutivo del credito e b) l’inesistenza del credito non risulti riscontrabile attraverso le procedure automatizzate di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 e dell’articolo 54-bis del Dpr 633/1972.

Sul punto specifico, la relazione di accompagnamento riporta che «il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta condizione ulteriore a quella dell’esistenza sostanziale del credito, ed è volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente, può essere facilmente “intercettato” mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente si connota per scarsa insidiosità».

I due requisiti di legge

In sostanza, dal dettato normativo e dai documenti accompagnatori emerge chiaramente che la fattispecie dell’utilizzo del credito d’imposta inesistente richiede la coesistenza dei due requisiti di legge: 1) deve risultare mancante, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e 2) la violazione non deve rientrare nell’ambito oggettivo del “raggio d’azione” dei controlli automatizzati degli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973 nonché dell’articolo 54-bis Dpr 633/1972. La sussistenza, dunque, di uno solo di essi non può determinare la configurazione di un “credito inesistente” ai fini della disciplina in argomento.

Occorre ulteriormente considerare che, in forza dell'articolo 36-ter, lettera d), del Dpr 600/1973, è attribuito agli uffici il potere di «determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti», così che non è difficile giungere alla conclusione che la generalità della casistica relativa alle indebite compensazioni rientra certamente nelle ipotesi di utilizzo di crediti d’imposta non spettanti (con sanzione del 30 per cento). Ciò, per l’evidente considerazione che, nella maggioranza dei casi, la non spettanza del credito d’imposta è suscettibile di essere rilevata, per effetto dell’attività di controllo ex articolo 36-ter, attraverso il confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, a supporto della determinazione del beneficio di legge.

Si ritengono escluse, per loro natura, le ipotesi in cui il credito d’imposta è stato generato da operazioni simulate o da documenti falsi, ancorché lo stesso credito sia indicato in dichiarazione, visto che tali ipotesi risultano oggettivamente estranee all’ambito di operatività dell’attività relativa ai controlli formali di cui al citato articolo 36-ter.

Le esclusioni

A ben vedere, anche il contribuente che paradossalmente si “inventa” un credito d’imposta che indica in dichiarazione, pur nella totale mancanza di documentazione di supporto, realizza un comportamento oggettivamente non connotato da grave pericolosità fiscale, se e in quanto suscettibile di essere facilmente rivelato in sede di controllo formale ex articolo 36-ter del Dpr 600/1973. Le medesime considerazioni non valgono, invece, come sopra riportato, con riferimento al soggetto passivo che, ad esempio, simula il sostenimento di spese per ricerca e sviluppo, avvalendosi di documentazione falsa, ancorché il credito sia stato indicato in dichiarazione.